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Sulla falsariga del mio pezzo precedente vorrei continuare a citare il Delo, giornale che leggo sempre con molto interesse, in quanto lo trovo fatto molto bene, soprattutto con molta politica estera, trattata in modo estremamente obiettivo e che soprattutto affronta temi che normalmente sui giornali italiani non si trovano (forse un retaggio altamente positivo dei tempi del non allineamento titino). Stavolta però si parla di politica interna, o per meglio di economia, con una lunga intervista alla facente funzioni della direttrice del SURS, l’ISTAT slovena, sullo stato del Paese a fine anno. E noi che ce ne frega della politica interna slovena? -potreste dire perfettamente a ragione. Il pezzetto finale dell’intervista è però a mio avviso estremamente illuminante e si ricollega direttamente alla lunga querelle sull’impiego di Randolph nella nazionale slovena che io ho caldeggiato e salutato a posteriori prendendomi tutta una serie di improperi (chiamiamo così i cazzeggi, diciamo terra terra come stanno le cose) da parte vostra. La mia tesi era che mi tengo Randolph tutta la vita se porta ai risultati che il suo impiego ha prodotto, non tanto dal punto di vista strettamente sportivo (anche se portare per quattro anni il titolo di Campione d’Europa di basket non è certamente cosa da poco), ma soprattutto da quello del risveglio nazionale e della creazione di un clima sociale positivo e ottimista, soprattutto per un popolo naturalmente tetro e pessimista come quello sloveno

Ricordo: a rispondere è una signora che con lo sport non avrebbe in realtà nulla a che fare.

Domanda:” C’è stato in quest’anno qualche dato statistico che l’ha particolarmente sorpresa o che vorrebbe sottolineare?”

Risposta: “Una di queste cose è l’ottimismo fra gli sloveni, attualmente sono incredibilmente ottimisti. Hanno raggiunto addirittura il massimo da quando indaghiamo in questo campo, cioè negli ultimi 20 anni. Evidentemente la gente si è resa conto che l’economia sta andando meglio (alla fine dell’anno la crescita del PIL sarà del 4,7%, NdST), soprattutto se si paragona a quanto è successo negli ultimi 10 anni. Per questo abbiamo grandi aspettative, sia per quanto riguarda le entrate personali che per quanto riguarda la situazione generale dell’economia nel paese, per la diminuzione della disoccupazione (attualmente al 6,5%, NdST) e per le possibilità di risparmio. E, visto che siamo a fine anno, posso anche scherzare un po’. Alla fine dell’estate anche noi del SURS siamo stati travolti dall’euforia cestistica e quando i nostri giocatori hanno battuto la Spagna siamo andati a cercare qualche dato statistico che potesse essere collegato a questo evento. Abbiamo trovato e pubblicato un dato molto curioso, e cioè che la Slovenia esporta banane in Spagna. Addirittura 41 tonnellate nel 2016, e ciò malgrado il fatto che intuitivamente uno sarebbe portato a pensare che succeda il contrario, sia in fatto di esportazione di banane che della loro distribuzione sul campo di gioco.”

Immediata spiegazione: nel gergo cestistico della vecchia Jugoslavia “distribuire una banana” equivaleva a fare una stoppata, termine che si è poi perpetuato in tutte le vecchie ex repubbliche e dunque anche in Slovenia. E leggere di una serissima signora scienziata che scherza sul basket, non solo, ma lo conosce tanto da affermare che uno si aspetterebbe che fosse la Spagna a “esportare banane”, e invece è stata la sua piccola Slovenia nel farlo nei confronti dei favoriti iberici, è secondo me molto significativo e spiega perfettamente come il basket sia uno sport quasi genetico per gli sloveni e di come la vittoria della nazionale agli Europei abbia fatto cambiare prospettiva di visione della propria posizione nel mondo a tutta una nazione. Forse adesso avrete anche capito perché, pur nel vostro disgusto, io Randolph me lo tengo per tutta la vita.

Per spiegare bene la mentalità slovena, sempre che vi interessi, è illuminante anche l’episodio strettamente cestistico avvenuto in questi giorni e di cui tutti parlano e cioè della “performance”, chiamiamola così, di Luka Dončić contro il Valencia in Eurolega. Tutti conoscete i due atti del psicodramma con successivo sbarellamento del non ancora 19-enne prodigio sloveno. Inciso: si dimentica sempre la sua età e uno può essere intellettualmente maturo quanto si vuole, ma gli ormoni sono quelli di un teenager, per cui che a volte lo portino ad andare fuori di testa a me sembra un fenomeno assolutamente normale. Anzi, visto come hanno cominciato a trattarlo sui campi di tutta Europa, è quasi strano che sia avvenuto così tardi. La cosa fondamentale di tutta la faccenda, secondo me, è che il suo “nemico” sia stato l’arbitro, sloveno come lui, Damir Javor. Se l’arbitro fosse stato di un altro Paese sono convinto che non sarebbe successo nulla. Ora i tifosi milanesi ricorderanno che Javor arbitrò anche la partita del Real contro l’Armani e che in quell’occasione fischiò a favore di Dončić anche i sospiri mandando abbastanza in bestia i milanesi. In questa occasione evidentemente nella testa di Javor deve essere scattato il “mode” “dagli agli italiani”, popolo onestamente non proprio ben visto in Slovenia per ovvie ragioni storiche (occupazione di un quarto del territorio fra le due guerre con successiva oppressione fascista e tentativo di estirpare la lingua e i sentimenti nazionali – tutti parlano dell’Istria, ma non bisogna mai dimenticare che da Sesana in su passando per Postumia, Aidussina, Idria, Tolmino finendo a Caporetto nessuno aveva mai sentito una sola parola in italiano fino al 1918). Quando invece il Real si è trovato di fronte il Valencia, e dunque trattavasi di affare interno iberico, nella sua testa è invece scattato il “mode” “naj sosedu krava crkne”, “che al vicino crepi la vacca”, modo di dire sloveno che indica come il maggior nemico di uno sloveno sia il suo vicino normalmente invidioso in modo patologico di chi ha più di lui, indipendentemente se ha meritato di averlo, anzi, quando uno dimostra di essere più capace tanto più deve essere subito rimesso al suo posto, cioè nella mediocrità perché tutti possano sentirsi tranquilli e appagati. Mettetevi nei panni del non ancora 19-enne Luka: lui va in entrata per schiacciare, un perticone sgraziato e incapace attenta alla sua incolumità, lui si difende come può per non rimanere ucciso e gli spacca il naso. E come conclusione della storia vede Javor, suo connazionale, che va a rivedere l’azione e invece di confermare, come ogni logica sportiva vorrebbe, l’antisportivo a suo favore, fischia fallo a lui. Ma come, questo vorrebbe uccidermi e il fallo è mio? E proprio tu me lo fischi? Non dovremmo tenere assieme fra connazionali? Già di che andare fuori di testa. Ma non ci va. Continua pur bollendo dentro come una pentola a pressione (la nostra vecchia “atomica”). E allora entra in campo per il Valencia il “disturbatore” e provocatore (senza virgolette), quello così ben descritto nel pezzo del libro di Vilfan che vi avevo citato tempo fa. La pentola bolle e Dončić infine, quando sempre Javor gli fischia un fallo in attacco che ha fatto, ma che lui, ormai obnubilato, prende come l’ennesima ingiustizia subita, come Roger Rabbit (“col fliiiiit!!”) non ce la fa più. Esce allo scoperto tutta la sua origine paterna di “serbità” e va verso l’avversario mostrandogli il logo della squadra per la quale gioca (gesto tipicamente serbo, di un popolo che ha una sterminata considerazione di se stesso, per cui chi lo provoca è solo un povero pezzente che non si rende conto con chi ha a che fare): “guarda che io sono un giocatore del Real, e tu, povero microbo, chi cavolo sei?”, prende il tecnico e viene espulso. 

Mi sono subito chiesto cosa avrei fatto io, con il mio carattere, al suo posto a non ancora 19 anni. Probabilmente sarei in prigione per omicidio preterintenzionale di un mio connazionale perpetrato all’estero. Per cui, come potete facilmente capire, a dispetto di ogni correttezza politica, sto perfettamente dalla sua parte. Ha fatto brutta figura e ha macchiato la sua immagine? Certamente, però intanto ha mandato un messaggio forte e chiaro: ragazzi, potrò essere buono e tranquillo, ma se pensate che mi intimidite o che mi lascerò mettere i piedi in testa, scordatevelo subito. Se giochiamo a basket sono una persona, ma se pensate di picchiarmi posso cambiare subito. Tanto più che le sue origini paterne serbe fanno sì che in un paio di anni, a maturazione fisica completata, scontrarsi con lui vorrà dire scontrarsi con un TIR, per cui sarà molto più salubre viaggiargli al largo. Forse che per mettere a nudo questo suo lato del carattere ci sia stato come detonatore e poi catalizzatore un arbitro sloveno, uno cioè da cui Dončić tutto si attendeva, meno che quello che poi è successo, per cui si è trovato a fronteggiare una situazione per la quale non era assolutamente preparato psicologicamente, è un bene. Finalmente conosciamo quello che è, come è veramente, e per me è quasi un sollievo vedere che non è finto, ma fatto di carne e ossa. La cosa vuol dire anche che quello che vediamo di solito, e come si comporta normalmente, è un lato del suo carattere altrettanto vero e non messo in mostra per compiacere pubblico, stampa, sponsor e agenti. E’ insomma un bravo ragazzo che ogni tanto, se provocato, va fuori di testa. Cosa che sicuramente non accadrà più con l’esperienza che accumulerà nel frattempo, quando anche si renderà conto di essere ormai una stella mediatica a 360 gradi. Soprattutto se ad arbitrare non ci sarà uno sloveno. Prendiamolo dunque per quello che è, con i suoi difetti e i suoi pregi. I quali sono tali e tanti che stupiscono ogni giorno di più. La doppia finta che ha fatto a Claver è un highlight di quelli che non pensavo avrei visto mai più dopo tutto quello che avevo visto fare a Bassin, Slavnić, Mirza, Kića, Dražen, negli anni che furono e onestamente mi ha commosso fino alle lacrime. C’è ancora un Dio del basket, ho pensato, c’è ancora qualcuno che giochi per giocare, per divertirsi, per prendere in giro l’avversario (la ciliegiona sulla torta è stata che poi ha dato la palla a Reyes, come a dire, il mio l’ho fatto, adesso la formalità di fare canestro può espletarla qualcun altro), insomma anche nel buio 2017 si può ancora vedere basket. 

Finisco dicendo che ieri ho visto Milano contro Vitoria. E quando Milano non segna come faceva ieri, o Buck, come gioca? Perché quando si alza la mano e si segna si gioca benissimo, i passaggi vengono da soli, tanto gli avversari devono marcare un po’ tutti e non possono battezzare nessuno, per cui il gioco fluisce che è una meraviglia. Ma quando subentra il braccino? Cosa succede? Succede che gli avversari facciano un parziale tipo 20 a 0 in pochi minuti e non sorpassino solo perché a un dato momento il braccino, dato uno sguardo al tabellone, è venuto anche a loro. Passi avanti importanti, ho letto. Mi dispiace: io i passi avanti li giudico solamente ed esclusivamente da quello che una squadra fa negli ultimi cinque minuti di una partita. Tutto quello che fa prima ha sicuramente la sua importanza, ma in realtà è solo nei momenti quando culo mastica mutande che si può giudicare sulla solidità di una squadra, sulle gerarchie che la governano, su chi è vincente e chi non lo è, insomma solo in quei momenti si può vedere quale sia il vero potenziale di una squadra e soprattutto se sia una squadra vera. E quanto visto ieri dal 32-esimo minuto in poi non mi piace per nulla.