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Scusate se mi faccio vivo appena adesso. Con il mio editore ci eravamo messi d’accordo che avrei consegnato le bozze finali del mio libro entro il 5 di novembre e, chi mi conosce sa benissimo che sarebbe successo, nelle ultime settimane mi sono dato molto da fare per recuperare il tempo perduto e sono stato dunque fortemente impegnato. Normalmente quando lavoro in questo regime, mi succedeva anche quando facevo i turni TG a Telecapodistria, sono molto più concentrato e produttivo. E anche le cose che produco di solito vengono meglio rispetto a quando cincischio e lavoro a spizzichi e bocconi. Sempre secondo la mia teoria, almeno per me stesso funziona sempre, che un pigro ideologico come il sottoscritto lavora molto meglio sotto pressione, perché prima finisce, prima può poi fare il dolce far niente. In più, e devo dire che la cosa mi ha fatto molto piacere, sono stato incaricato di tenere una rubrica di commenti a ruota libera per l’edizione del martedì del Primorski Dnevnik, quella con il supplemento sportivo dedicato ai risultati del fine settimana. Per quanto sia abbastanza corta devo scrivere in sloveno, cosa che mi riesce infinitamente più difficile che scrivere in italiano, poiché, dovendo tentare di pensare in sloveno, devo continuamente cambiare l’impostazione delle frasi per apparire il meno possibile un alieno che ha tradotto il suo testo con Google. E dunque ci metto molto più tempo per mettere assieme una cosa digeribile per il lettore medio che parla lo sloveno come prima e magari unica lingua.

Per prima cosa vi ringrazio tutti per essere venuti numerosi alla sconvenscion. Spero che non vi siate annoiati e che siate pronti a ripetere l’esperienza, soprattutto quelli che ci siete stati per la prima volta. A questo punto forse dovrei cominciare a preoccuparmi per le dimensioni che sta prendendo questa iniziativa, ma sono preoccupazioni molto dolci delle quali sono in realtà molto soddisfatto e appagato.

Se a qualcuno interessa dico, tornando al libro che ho scritto sul mio rapporto con il basket NBA, che sono abbastanza soddisfatto di quanto ho scritto. Soprattutto per quanto riguarda quanto è successo in questi ultimi 30 anni ho dovuto fare anche le necessarie ricerche, cosa che, lo sapete, tento di fare normalmente il meno possibile per non correre il grave rischio di redigere un’enciclopedia invece di scrivere un libro che dovrebbe esprimere opinioni, sentimenti e riflessioni. Stavolta l’ho dovuto fare perché già vedo la legione di fanatici NBA che mi aspettano con il fucile spianato per ridicolizzarmi a causa di errori fattuali con cronologie sbagliate senza poi entrare nel merito vero delle cose che volevo dire. Spero che i fatti che riporto siano reali e veramente accaduti e che dunque si potrà solo discutere sulle mie valutazioni che, lo dico subito, mi alieneranno praticamente tutta la generazione dai 45-enni in giù. Di tutti quelli cioè che erano ancora troppo piccoli per aver potuto assistere al massimo che il basket abbia mai prodotto, parlo ovviamente dell’unico e irripetibile Dream Team del 1992, e che si sono appassionati del basket nella seconda metà degli anni 90, quella dell’inizio della fine con la comparsa sulla scena quali assoluti protagonisti di gente come Shaq o Allen Iverson. Generazione che, non avendo prospettiva storica, vive sempre nell’assoluta chimerica illusione che l’umanità sia in costante progresso e che per definizione l’oggi è meglio dello ieri e che il domani sarà certamente meglio dell’oggi. Se è così perché l’umanità non produce più Leonardi o Michelangeli né Danti o Shakespeari o Beethoveni? Per non parlare di tali Sofocle, Eschilo o Euripide che avevano capito tutto dell’umanità già 2500 anni fa e che forse le nuove generazioni potrebbero andare a rispolverare per capirne anche loro qualcosa. Come sempre succede nella storia dell’umanità una qualsiasi attività raggiunge a suo tempo il massimo dello sviluppo prima di decadere inevitabilmente, visto che più del vertice del potenziale dell’intelletto umano non si può raggiungere, per cui, volendo inventarsi qualcosa di nuovo, si rovina la perfezione e si va per forza indietro. Poi, una volta raggiunto il fondo, quando peggio di quello che è in voga in quel momento diventa impossibile realizzarlo, si ricomincia a progredire e così via. Il basket non fa ovviamente eccezione e la mia tesi granitica (voi che mi conoscete sapete benissimo quanto io sia granitico) è che il basket mondiale, sulla scia di quanto avviene nell’NBA, che è sempre, ora purtroppo, quella che indica la via che poi tutti percorrono, è ora nella fase più ripida della sinusoide discendente, quella, direbbero i matematici, nella quale il valore della sua derivata è uguale a uno o comunque ad esso molto prossima. Sì, ma vuoi mettere i fisici odierni…prima ho usato apposta il termine potenziale intellettivo, perché è sempre e comunque quello che determina in modo decisivo il valore di quello che si produce. Nello sport, inteso come gioco di squadra, il fisico è accessorio, è solo una sua componente non decisiva in alcun modo. Nel mio libro uso una metafora: prendiamo un passero e uno struzzo. Sono ambedue uccelli e lo struzzo è incomparabilmente più potente, grande e grosso rispetto a un passero. Però il passero può fare la pupù in testa al passero quando e come vuole, mentre il contrario è impossibile. Come la terribile cronaca ci insegna, se il passero potesse sparare missili farebbe fuori senza problemi un intero gregge di struzzi, mentre anche qui il contrario sarebbe impossibile. Perché? Perché vola e lo struzzo no. Nel basket il volare, rispetto al rimanere ancorati per terra, equivale al sapere giocare a basket o meno. Come ampiamente dimostrato nell’NBA attuale da due omaccioni che corrono e saltano con difficoltà, leggi Dončić e Jokić, che però fanno esattamente quello che vogliono e che dipende solo da che giornata hanno per vedere cosa faranno, perché il loro rendimento in campo dipende esattamente solo da quello e non certamente dalle difese che imbastiscono le squadre avversarie. E, tornando ai fisici odierni, rimane sempre l’inconfutabile fatto che, per quanto si sforzi, nessun tacchino o gallina potrà mai diventare non solo un’aquila, ma neanche un tordo o un merlo.

Tutto questo l’ho comunque già detto nelle due puntate che mi ha dedicato sul suo sito (boomer ball) l’amico Alessandro Toso che ringrazio sia per l’attenzione che mi ha dedicato sia per le domande tutte molto pertinenti e interessanti che mi ha proposto. L’unica cosa che mi ha messo in imbarazzo è stata l’atmosfera troppo informale che c’è stata e che si è palesata nella seconda puntata, quando sono stato colto in flagrante a scrocchiare patatine mentre trangugiavo la mia birra. Sono stato giustamente preso in giro e me ne scuso. Non lo farò più. Tornando alla chiacchierata con Alessandro c’è stato un momento nel quale mi sono inalberato fortemente. E voi sconvenscioners sapete benissimo che, quando mi inalbero, leggi incazzo, lo faccio in modo veemente e comincio a urlare a squarciagola perdendo ogni tipo di controllo. Poi mi vergogno come un cane, ma è purtroppo una cosa che ho ereditato da mia madre e che non riesco mai a tenere sotto controllo per quanto mi sforzi. La causa scatenante della mia esplosione è stata la domanda di Alessandro su cosa ne pensassi delle analisi numeriche che si fanno oggidì grazie all’AI in America e che poi determinano il modo di giocare delle varie squadre. Ha toccato il nervo più scoperto che ci sia in me e sono partito in una filippica abbastanza confusa nella quale, a parte quello che realmente penso della Stupidità Artificiale, si è capito ben poco quanto volevo dire. Ci metto una pezza adesso, a mente fredda.

Prima considerazione. Già la dicitura “Intelligenza artificiale” è un clamoroso ossimoro. L’intelligenza è una caratteristica peculiare e non replicabile dell’essere umano e non prevede solo la capacità di ragionare in modo logico, ma tutta un’altra serie di fondamentali elementi, quali la sensibilità, l’empatia, la creatività, l’emotività, tutte doti che una macchina mai potrà avere. E ogni tipo di computer è per definizione una macchina, cioè un aggeggio pensato e costruito dall’uomo per aiutarlo a compiere determinate cose che, se dovesse farle a mano, richiederebbero molta più fatica e un tempo nettamente superiore per essere fatte. E, per quanto velocemente possa fare calcoli e da questi trarre determinate conseguenze, pur sempre è un’attività che non può che essere di supporto a quello che poi l’intelletto umano desidera fare. Una macchina non ha emozioni, sentimenti, sbalzi di umore, nel nostro caso una macchina mai potrà prendere in considerazione l’infinito spettro di sentimenti e di capacità umane che compongono il rendimento in campo di un giocatore di basket o di qualsiasi altro sport di squadra. Una macchina mai potrà prendere atto del fatto che magari in quel giorno il giocatore tal dei tali ha litigato con la moglie o la suocera, che ha ricevuto una brutta multa per qualche infrazione stradale o che semplicemente si è alzato dal letto con il piede sbagliato. Si torna dunque al punto di partenza. La macchina può aiutare, ma poi la gestione di una squadra è la gestione di un gruppo di umani e solo altri esseri umani potranno fare in modo che questo gruppo renda nel miglior modo possibile, prendendo in considerazione tutte le infinite sfumature che fanno dell’animo umano quello che è

Ma l’idiota affidamento a una macchina per costruire un sistema di gioco, nel nostro caso, invece che lasciare a decidere cosa fare a esseri umani che hanno a che fare con altri esseri umani, è per me un campanello di allarme molto più importante e epocale. Pensare di affidarsi a macchine, da noi pensate e poi create, per diventarne alla fine schiavi delegando a loro il compito di decidere cosa fare è un sinistro e inquietante sintomo che forse l’umanità sta avviandosi veramente verso un futuro distopico nel quale saranno le macchine guidate dall’Intelligenza artificiale, che, per quanto possa svilupparsi, sarà al massimo la massima e più perfetta forma di autismo possibile, a dirigere la vita dell’uomo. L’umanità dunque avrà perso la capacità di pensare con la propria testa e si affiderà in tutto e per tutto a quanto saranno le macchine a ordinarle di fare. Dietro alle quali ci sarà comunque una congrega segreta di esseri umani che guideranno l’umanità a loro esclusivo piacimento. Altro che Orwell o Philip Dick, al confronto con quanto sta per accadere, e già accade, basta vedere l’improvviso proliferare sulla rete di filmati totalmente creati dalle macchine, con addirittura hit canore inventate di sana pianta da esecutori virtuali che in realtà neanche esistono, per non parlare dei filmati che contrabbandano precise idee politiche, loro erano quasi degli ottimisti. Personalmente mi consolo pensando a quanto scriveva il più grande di tutti gli scrittori di fantascienza, parlo ovviamente di Isaac Asimov. Che in un toccante racconto da cui hanno anche tratto un bellissimo film con Robin Williams parla di un robot che si innamora e tenta in tutti i modi di diventare un uomo con tutti i suoi difetti e insufficienze. Ma quello che ancora adesso mi commuove con annessa lacrima è un brevissimo racconto dedicato a sua figlia nel quale un bambino di un lontano (? – cioè ormai già oggi) futuro trova un libro e chiede al papà cosa sia, non avendo mai visto niente di simile. Il papà racconta che una volta i libri stampati si usavano per studiare in un particolare edificio, che chiamavano scuola, nel quale si radunavano i ragazzini assieme a un adulto di nome maestro e che poi, finite le lezioni, andavano tutti assieme in giardino a giocare. Il bambino ascolta a bocca aperta e alla fine commenta: “Chissà come si divertivano!”.