Innanzitutto una breve annotazione: la mia patente di imbecilli dell'anno (cosa dico: del secolo, del nuovo millennio...) va ai reggitori delle cose del basket e della pallavolo che sono stati tanto astuti da prevedere la finale degli Europei dei due massimi sport di squadra di palestra del mondo per lo stesso giorno. Ma quando hanno fatto i calendari non potevano scambiarsi almeno un SMS?

Sulla pallavolo sbizzarritevi voi, qualsiasi cosa direi io sarebbe stupido, in quanto è da tempo che non seguo più questo sport e dunque qualsiasi cosa dicessi sarebbe completamente fuori posto. L'unica cosa che posso dire è che voi ve la prendete tanto con i naturalizzati, poi scopro che per l'Italia giocano un Zajcev, un Travica, un Lasko...

Passando al basket che vincesse la Spagna era tanto ovvio che ce l'ho presa anch'io, a mani basse. Era troppo facile, essendo loro tanto più forti. Hanno tutto, statura, gioco, tiro, varietà di soluzioni, possono giocare a corri e tira (Rudy, Calderon e Navarro), possono giocare a ritmi bassi (i Gasols con chiunque altro), difendono quanto basta, ma soprattutto sanno giocare a basket, nell'accezione mia, cioè di quello che pensa che saper giocare a basket significhi in ogni momento sapere cosa fare in campo. Ho detto più volte che la concezione loro del basket non è la mia preferita, essendo io di scuola ed educazione jugoslava, ma che è comunque una filosofia di gioco più che rispettabile, più che legittima, e dunque in definitiva bisogna solo levarsi tanto di cappello.

E dire che la Francia è stata una sorpresa enorme, perché finalmente hanno giocato a basket, hanno sempre dato l'impressione di sapere cosa fare, hanno abbandonato il loro stucchevole salto in alto con palla per dedicarsi a tempo pieno al basket. Certo, il loro coach rimane per me un enigma imperscrutabile, perché continuo ad essere convinto che si tratti di uno studiato non proprio un'aquila di suo, ma che stavolta abbia avuto il merito di adeguarsi alla squadra senza voler fare catastroficamente il contrario. Le ragioni sono per me due: la prima è che finalmente Tony Parker abbia deciso, da persona intelligente che non ha più niente da dimostrare, di voler far vincere la squadra e non di mettersi in mostra lui, si è calato in poche parole nelle vesti del leader vero a cui sta a cuore principalmente che la squadra vinca. Personalmente non l'avevo mai visto giocare tanto bene: se penso al presuntuoso faso-tuto-mi che affossò la Francia quattro anni fa in Spagna stavolta è sembrato un altro giocatore, come se avesse fatto un trapianto di testa. La seconda è l'innesto in squadra di Noah, giocatore solido, modesto, senza fronzoli, che sa benissimo cosa sa fare e cosa non sa fare, caratteristiche queste tanto più sorprendenti sapendo di chi è figlio, nel senso che di uno nato nella bambagia uno si immagina possa essere solo uno montato.

La Russia è fondamentalmente formata da due persone: David Blatt ed Andrej Kirilenko. Blatt è un coach che è riuscito a dare un'organizzazione ed un'anima ad una combriccola di giocatori dal pedigree cestistico semplicemente selvaggio, di broncos al galoppo. Kirilenko è stato invece secondo me semplicemente commovente: ha dato l'anima, si è tuffato su ogni pallone, ha dato sostanza ad ogni azione, ha lottato ferocemente su ogni rimbalzo procurandosi tiri liberi a caterva da solo, ha segnato sempre quando serviva. Secondo me è stato ancora più bravo rispetto a quattro anni fa, perché stavolta non era in forma straordinaria, ma se ne è reso conto e dunque ha trovato il modo di essere non solo utile, ma assolutamente decisivo. Sono fermamente convinto che, lasciati da soli, i vari Hrjapa (giocatore fra i più sopravvalutati che abbia mai visto), Monja (nomen est omen), Bikov, Ponkrašov, per non parlare di Mozgov, avrebbero avuto problemi già per passare il primo turno. L'unico che abbia la scintilla del giocatore vero di basket è ovviamente Aleksej Šved, ma che sia anche pazzo come un cavallo mi sembra indiscutibile. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Sulla Macedonia ci sarebbe da scrivere un romanzo: peccato solo che la favola si sia troncata su quella allucinante candela (per non parlare del canestro di poco prima di Bikov) dello Stojanovski scarso a un centimetro dal canestro nell'ultima azione della finalina per il bronzo. A questo punto so che scriverò cose che faranno inorridire un po' tutti voi e che la mia credibilità subirà, nell'ottica moderna di come si vede il basket, un durissimo colpo. Ma tant'è: di fronte alle frotte di persone che fuggiranno inorridite da questo blog facendosi furiosi segni della croce, spero solo di convertire almeno qualche singola anima al modo in cui io vedo il basket. Se non altro leggete e pensateci su un po', è il massimo che posso pretendere. Allora (vi ho avvertito: da qui in poi la lettura è consentita solamente ad un pubblico adulto e poco impressionabile): la Macedonia è stata la più lieta conferma di una mia vecchia e sempre per pudore inespressa teoria che ora è diventata una quasi certezza. Mi ero sempre chiesto cosa sarebbe successo se per qualche miracolo una macchina del tempo avesse portato ai tempi odierni una squadra che giocasse come si giocava una trentina/ quarantina di anni fa. Una squadra nella quale: a) i titolari fossero cinque e solo cinque, che avesse due riserve, una guardia ed un centro, un ottavo uomo che fosse un uomo di rottura, capace di cambiare ritmo nei momenti dell' o-la-va-o-la-spacca, più juniores o comunque panchinari fissi e b) che dei cinque uno fosse un play, uno una guardia pura, uno un'ala piccola pura, uno un post o ala forte pura ed infine avesse un centro puro, che fosse formata insomma da giocatori dall'uno al cinque senza frazioni intermedie. La domanda mi era nata quando vidi negli anni '90 il PAOK vincere la Coppa Korač a Trieste giocando appunto così, con Korfas, Prelević, Galakteros, Savić e Walter Berry nell'ordine. Il play di riserva entrava, appunto, di riserva, il centro di riserva dava minuti di riposo, per il resto giocavano sempre e solo loro. Onestamente mi sembrò che una squadra con un equilibrio del genere fosse imbattibile, semplicemente perché non poteva avere momenti di blackout essendo il meccanismo oliato con tutti i giocatori che sapevano sempre perfettamente cosa si voleva da loro, per cui gli sbandamenti erano inconcepibili. Poi mi hanno fatto una testa come un vaso da notte spiegandomi che nel basket moderno un'idea del genere faceva ridere e che per tenere alto il ritmo e per avere soluzioni diverse servivano giocatori intercambiabili, capaci di ricoprire più ruoli. E il bello è che ci avevo creduto. Sempre però col tarlo del dubbio. Che si è dissolto grazie alla Macedonia: che si è presentata in cinque giocatori cinque (il sesto, Gečevski, si è fatto male prima delle partite decisive) con riserve molto riserve e con il giocatore di rottura che è stato la classica ciliegina sulla torta, perché vedere uno come Čekovski mi ha fatto fare un nostalgico tuffo nel passato richiamando dai più lontani recessi della memoria mitiche partite tipo Sloga-Čelik o Borac-Proleter, dove i pittoreschi giocatori del suo stampo erano l'ossatura delle suddette squadre. Assolta la condizione a), quella b) veniva da sola per una miracolosa alchimia di squadra. C'era il vituperato, ma preziosissimo Vlatko Ilievski, play puro per indole che nel basket del Professor Lambicchi poteva finalmente dedicarsi a fare il play puro, c'era una guardia straordinaria, Bo McCalebb, che ha fatto per tutti gli Europei un clinic di inarrivabile livello su cosa si vuole da un numero due, che sia la punta di diamante del reparto dietro, che una volta stabiliti gli equilibri dal play fosse quello che finalizzava l'azione partita da dietro o con la conclusione personale o con il coinvolgimento dei lunghi, c'era un'ala piccola, giocatore che una volta era il più oscuro e misconosciuto della squadra non avendo compiti fondamentali di gioco, ma puri e semplici compiti di finalizzazione, che cioè si doveva trovare smarcato per il tiro per segnarlo facendo qualche volta anche blitz sotto canestro in entrata e che era anche il terminale principale del contropiede primario, e Vojdan Stojanovski, appunto, ha fatto perfettamente l'ala piccola, c'era l'ala forte, Pero Antić, giocatore capace di giocare sotto ma anche pericoloso da fuori, ma soprattutto collante imprescindibile fra reparto dietro e reparto davanti, vero e proprio play avanzato, e c'era infine il classico armadio sotto canestro, Samardžiski, altro giocatore tratto dal passato in quanto semplicemente prendeva rimbalzi e segnava da sotto quando veniva servito senza voler fare il fenomeno, nel più fulgido solco della vecchia scuola jugoslava, da Rajković a Jerkov. E dunque esaudendo la più recondita delle mie curiosità la Macedonia, formata in effetti da giocatori di nessun nome, a parte ovviamente McCalebb, è arrivata in cinque ad un passo dal bronzo. Dopo 11 partite in 17 giorni, alla faccia del turnover. Dunque si può e (tappatevi le orecchie) gli esegeti del tourbillon vadano cortesemente, come diceva Aldo Giordani, a ramazzare il pelago.

Se c'è ancora qualcuno che non è svenuto di fronte a questo florilegio di blasfemità continuo per lui.

Se il torneo ha virtuosamente premiato le squadre nelle quali si sapeva chi beve e chi paga (ed alle summenzionate aggiungo gaudiosamente la Grecia, che con una squadraccia ha ottenuto più del massimo teorico ipotizzabile, ed anche la frizzante Finlandia), ha castigato le altre, principalmente per la ragione opposta, quella appunto della confusione più spinta dei ruoli, cosa che ha causato voltastomachi agli amanti del basket quali il sottoscritto, parlo in primis delle altre ex-jugo, fra le quali metto in primissima fila la Slovenia, per non parlare di Croazia, BiH o Montenegro, ma anche di Turchia ed Israele e sulle quali stendo veli pietosi perché proprio non ho voglia di parlarne. La Serbia ha scontato duramente gli infortuni ed i difetti strutturali già evidenziati in questo sito, leggi insostenibile leggerezza sotto canestro (altra domanda blasfema: ma avete anche voi l'impressione che coach Ivković sia ormai un tantino bollito?). Parlare dell'Italia, cosa già fatta, è sparare sulla Croce Rossa, mentre rimane un mistero la misera resa delle Germania, per la quale una possibile spiegazione starebbe nel manico, nel senso di coach Bauermann che ha tentato di far giocare la sua squadra secondo uno stile da college delegando tutte le decisioni importanti al suo uomo chiave, ovviamente Nowitzki, che è un grandissimo giocatore ed uno straordinario uomo squadra, ma non è certamente quello che possa risolvere tutto quando tutti gli altri si affidano sempre e solo a lui. Con giocatori quali Benzing, ma soprattutto Schaffartzik, uomo che se lasciato libero di giocare avrebbe nelle sue corde momenti quasi "navarreschi", la Germania avrebbe dovuto fare molto, ma molto di più. Caso a parte ovviamente la Lituania che è semplicemente sprofondata di fronte alle aspettative del suo pubblico non avendo un gioco dotato di vera profondità, per cui sotto pressione il suo gioco è letteralmente andato a pezzi.

Si è giocato bene? Secondo me sì, dalla seconda fase in poi, quando cioè il numero di squadre si è ridotto, una volta sfrondate tutte le zavorre, a quelle palesemente migliori. Fra l'altro la statistica dice che il tanto vituperato Girone F, quello scarso, ha avuto negli scontri diretti dei quarti di finale un rendimento assolutamente paritario (alle semifinali sono giunte da pronostico le prime due di ogni girone), con tutti match equilibrati, compreso il primo tempo della evanescente Slovenia contro la strapotente Spagna. Dunque, risultati alla mano, tanto più scarso non era. Semplicemente il giudizio di tutti è stato fuorviato dal fatto che le due più forti, Spagna e Francia, erano dalla stessa parte del tabellone.

Campionato a 24? Pleonastico. Non se ne sentiva assolutamente il bisogno. 16 era e rimane il numero ideale. Fra l'altro, se già volevano giocare in 24 su 11 partite, è stato semplicemente delittuoso cassare l'unica proposta valida che in un primo tempo sembrava essere passata, quella cioè di permettere 14 giocatori a squadra, dei quali 12 potevano andare a referto in ogni singola partita. Proposta banalmente ovvia e logica, non accolta per ragioni che fanno ampiamente dubitare della sanità mentale di chi ci governa.

Ed infine due parole sull'arbitraggio, il migliore che io mi ricordi in una fase finale dell'Europeo. Probabilmente uno strascico virtuoso del grande lavoro di Rigas e Betancourt a livello ULEB. Una cosa però non mi piace: il permissivismo dilaga e, per quanto il metro sia stato uniforme, cosa già questa estremamente positiva, i contatti sul tiratore, i passi in partenza ed i tre secondi vengono fischiati sempre meno. Uno della mia età si chiede: ma dove andremo a finire di questo passo?