Prima di tutto un breve resoconto del sorteggio per i gironi degli Europei di domenica 18 a Postumia. "Location" meravigliosa nella sala grande, detta dei concerti (se si stipano gli spettatori, ce ne stanno dentro fino a 10000!), del complesso delle grotte di Postumia, la più famosa attrazione turistica della Slovenia col suo complesso di straordinarie grotte carsiche, ognuna delle quali rappresenta un paesaggio da fiaba con le sue incredibili e sempre diverse concrezioni calcaree. La sala (o mega grotta) si raggiunge con un trenino a scartamento ridottissimo che, pur viaggiando tutt'altro che piano, per raggiungerla ci mette una decina di minuti attraversando grotte naturali, tunnel artificiali, costeggiando il fiume carsico che la attraversa (e che poi, tantissimi chilometri più a valle, si chiamerà Timavo), offrendo insomma sensazioni magnifiche. Io poi che sono leggermente agorafobo e che adoro le grotte ho goduto da matti. Il sorteggio invece, più che goderlo, mi ha divertito in modo inatteso, tanto che verso la fine ridevo quasi a crepapelle. Se quello infatti non è stato un sorteggio pilotato con tutte le palline che puntualmente ad ogni uscita davano la squadra che tutti si attendevano a quel punto, non so quale possa esserlo stato di più nella storia. Forse solo quello di Italia '90, quando Blatter fece cambiare una pallina a Sofia Loren. Il tocco da maestro è stato l'annuncio, a sorteggio eseguito, che si doveva attendere un po', perché doveva riunirsi l'apposita commissione per decidere in quale città fare disputare i singoli gironi. Quando si vedeva ad occhio nudo che tutto era stato predisposto per come, dopo neanche due minuti (sai che riunione!), si è verificato con tanto di solenne e ponderato annuncio in pompa magna. Perché sono tanto sicuro? (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")


Allora cominciamo dal girone della Slovenia che aveva detto già prima che avrebbe giocato a Celje. Prendete una cartina e guardate dove si trova. È la grande città più vicina al confine croato ed a Zagabria e, toh, vi è stata sorteggiata la Croazia. Ovviamente nello stesso girone doveva esserci la Spagna per affrontarla subito e non incrociarla più fino alle fasi decisive. Le altre avversarie (scrivo dal punto di vista sloveno) sono forti, ma senza esagerare. Continuo. Girone di Jesenice. Lì c'è una secolare tradizione di lavorazione del ferro che si estraeva da quelle parti (e se è per quello, quante "fusine" ci sono in Val Canale in Italia?) con annessa ferriera. Alla quale ferriera sono affluiti in massa dopo la seconda guerra mondiale tantissimi lavoratori dalle Repubbliche jugoslave del Sud (secondo uno schema migratorio che in Italia si conosce a perfezione), per cui Jesenice sono una specie di Jugoslavia in piccolo (anche se i lavoratori si sono integrati perfettamente, tanto che a volte fa specie vedere qualche giocatore di hockey – da quelle parti sport nazionale – con nome e cognome fra il bosgnacco o il kosovaro con connessi inconfondibili tratti somatici rispondere alle domande di qualche giornalista in uno sloveno quasi incomprensibile per le marcatissime connotazioni dialettali delle parlate di quelle parti). E chi giocherà a Jesenice? Quattro sesti dell'ex Jugoslavia! Più un derby baltico, tanto per insaporire di più la pietanza. E ancora: a Capodistria giocherà ovviamente l'Italia (dal centro di Trieste fino al Bonifica sono 15 minuti di macchina, da Monfalcone sono 35, da Gorizia 45!), ma giocheranno anche Grecia e Turchia che, guarda caso, hanno legami importanti col porto di Trieste, per non parlare della storica comunità greca di Trieste che, pur perfettamente da secoli inserita nel tessuto urbano, mantiene sempre vive le tradizioni del paese d'origine o per non parlare dei numerosissimi studenti greci che frequentano l'Università di Trieste. E, dulcis in fundo, a Lubiana giocheranno Germania, Francia e Gran Bretagna, cioè le squadre delle grandi nazioni, quelle sulle quali ovviamente la Slovenia punta affinché, grazie agli Europei, possano conoscere la Slovenia e così alimentare in futuro il flusso turistico e, perché no, anche economico. Insomma un lavoro fatto a regola d'arte che merita da parte mia i complimenti vivissimi agli organizzatori (e lo dico assolutamente senza sarcasmo, in quanto in questi casi non pilotare un sorteggio vuol dire spararsi masochisticamente negli zebedei).

Sempre su questo argomento un paio di puntualizzazioni. Si continua a volere a tutti costi un girone in Italia perché per qualcuno la Slovenia non sarebbe in grado di organizzare in modo dignitoso un grande evento. La stessa Slovenia organizzò la fase finale del Mondiale '70, un paio di Mondiali di hockey del Gruppo A, un Mondiale di tennis tavolo (inaugurazione della Hala Tivoli nel '65), un Mondiale di ginnastica, un Europeo di pallamano, e via discorrendo, per cui non temete, in Slovenia sanno benissimo come si fa. Il problema è che un impianto iniziale megalomane si è venuto a scontrare con la recessione, per cui non ci sono stati i soldi che si sperava ci fossero. Però il piano B non è per niente preoccupante: il Palazzo di Celje è un impianto moderno studiato per la pallamano e tiene fino a 7000 spettatori, quello di Jesenice è il più problematico, perché pur essendo capiente in modo più che adeguato, è pensato per l'hockey, ma è soprattutto stato costruito in più fasi dapprima coprendo il campo all'aperto e poi chiudendo le pareti ed è dunque vetusto come concezione, per cui ha bisogno di una profonda ristrutturazione che però dovrebbe cominciare prestissimo. Da quelle parti se le cose le vogliono fare, le fanno. Andate solo a vedere come hanno messo a posto (finalmente!) il comprensorio dei salti di Planica che sta diventando il centro sloveno di tutto lo sport nordico con l'approntamento di tutta una serie di piste di fondo. Per Capodistria il problema non si pone proprio: forse il malinteso deriva da una dichiarazione del sindaco Popović che a suo tempo promise un nuovo palazzone da 8000 spettatori, mai neanche progettato perché era un'idea folle, avendo Capodistria un eccellente palazzetto (vecchio di una decina di anni, dunque esistente da moltissimo tempo, caro Franz!) che per il basket può contenere circa 4000 spettatori. Del resto lo stesso destituito Zanolin, quando venne a fare il sopralluogo a Capodistria disse neanche tanto velatamente che il nuovo palazzone era del tutto inutile, in quanto bastavano un paio di lavori su quello già esistente perché fosse più che adeguato. I lavori da fare sono prettamente tecnici (tabellone moderno pensato per il basket e non per la pallamano, sport di parata a Capodistria, allestimento della zona mista, spogliatoi, zona per i media eccetera, tutte cose importanti, ma non certamente particolarmente dispendiose), per cui non preoccupatevi: montate in macchina e venite a vedere le partite a Capodistria (il palazzetto è esattamente dietro allo stadio, per cui è facilissimo arrivarci).

Ancora una piccolissima chiosa. Siete proprio sicuri che la Gran Bretagna sia formata da cessi? Io li ho visti più volte contro la Slovenia ed ero sempre preoccupato. Sono tanto, ma tanto lunghi e certi saltano anche. C'è sempre il vecchio Betts che è un tronco ambulante, ma è sempre dove deve essere, c'è quello che giocava a Pesaro (Richardson? o qualcosa del genere), c'è quello bravo che giocava a Malaga (ma dove è finito?), c'è Achara, le guardie sono tutti giocatori sverniciati dal dottor Lambicchi (Corriere dei Piccoli di un secolo fa) che giocano un basket austro-ungarico (come dice Peter Brumen), ma che proprio per questo diventa del tutto ingestibile dai difensori moderni. Insomma, io ci andrei molto cauto.

Ed ora al piatto forte, la risposta alla bellissima lista di domande che pone Daniele1 su come si giudica la "salute" di uno sport in una particolare nazione (o regione, o continente, fate voi). I punti che lui pone sono tutti più che legittimi ed importanti, però secondo me bisogna fare una lista su quali sono premesse e quali conseguenze. Io partirei da un punto ulteriore che non è stato elencato, ma che è fondamentale: cultura sportiva e scuola con relativa tradizione per una particolare disciplina sportiva. Per esempio: il Canada ha inventato l'hockey, per cui lì la tradizione è genetica quasi e dunque tutti gli altri punti sono insignificanti. Essendo lì l'hockey una religione la salute dell'hockey in Canada sarà sempre floridissima. Lo stesso per il rugby in Nuova Zelanda o addirittura per il cricket nei Paesi del Commonwealth (uno, ragionando alla nostra, non può neanche concepire come in India gli unici sport di squadra siano il cricket e l'hockey su prato, ma tant'è). Lo stesso anche per sport a noi sconosciuti tipo il football Australian Rules in Australia o il football gaelico in Irlanda (o l'hurling, se è per quello, sport che penso siano in pochissimi a sapere cos'è). Preso questo come fondamento di ogni ragionamento la salute di uno sport la si può valutare con molta più precisione. Per esempio in Italia. Tradizione. Roccaforti del basket sono sempre state la Brianza, il Veneto attorno a Venezia (con Padova e Treviso), la Venezia Giulia, Bologna ovviamente (con Reggio Emilia e Forlì), Livorno, le Marche e l'Abruzzo (Pesaro su tutte passando per Iesi, Fabriano, Porto San Giorgio, Roseto, Teramo eccetera), Brindisi, parti della Sicilia e la Sardegna attorno a Sassari. Per cui per valutare la salute del basket bisogna analizzare la situazione del basket in quei posti. Onestamente ad occhio sembra che la salute sia molto cagionevole: certe zone stanno infatti scomparendo, parlo soprattutto di Livorno, Padova, Treviso e Gorizia, con altre realtà che stanno combattendo vigorosamente battaglie controcorrente, ma con successi per ora molto parziali (è ovvio che davanti agli occhi ho Trieste). Se dunque neppure nelle roccaforti storiche il basket non riesce a tenere le posizioni che aveva quasi per diritto divino, è difficile immaginare come possa espandersi in zone finora pervicacemente refrattarie al nostro sport (Regno di Savoia in primis – Sardegna esclusa, enrico! - lo dico subito per mettere le mani avanti). La diagnosi della salute va dunque fatta secondo me in questo modo. Cambiando Paese ed andando per esempio in Germania, dove l'effetto Schrempf prima e Nowitzki poi ha lanciato il basket da sport sconosciuto ad uno degli sport da palestra più praticati (attaccando ed a volte battendo nientemeno che Sua Maestà la pallamano!), lì invece la salute è eccellente. I giovani praticano il basket, non solo, ma lo vivono, tanto che ad esempio (lo sapevate?) il Bamberg ha il tutto esaurito in abbonamento sia per l'Eurolega che per il Campionato per tutta la stagione. La tradizione (che vuol dire sostanzialmente memoria) porta i giovani a tentare di emulare i campioni del passato (propri, non altrui! - differenza fondamentale), per cui in Canada tutti vorrebbero essere Gretzky o in Nuova Zelanda tutti vorrebbero essere Lomu. Come ai suoi tempi in Croazia tutti i giovani sembravano cloni di Dražen. Se si spezza questo basilare cordone ombelicale la salute crolla repentinamente e forse irreversibilmente. Da qui il richiamo alla cultura sportiva (che comprende fatalmente la tradizione) ed alla scuola, che della perpetuazione di questa tradizione dovrebbe essere depositaria. Scuola in senso lato, sia quella classica delle "quattro mura", sia quella che offrono i media, i gruppi sportivi, le associazioni di appassionati (non tifosi, per favore!), anche queste discussioni via rete, perché no?, insomma tutto l'humus dell'interesse e del coinvolgimento nel nostro caso nell'attività cestistica. Quando c'è questo, c'è salute, quando non c'è, si è gravemente ammalati. Tutto il resto è conseguenza: il numero di praticanti (sempre più importante del numero dei giocatori di vertice, anche se le due cose sono strettamente correlate: in presenza di una buona scuola, appunto, maggiore è il numero dei praticanti, maggiore sarà il numero dei giocatori di vertice, maggiore sarà il numero di quelli che andranno nei campionati esteri eccetera), o l'interesse dei media, che però deriva dall'interesse generale, essendo i media sempre a traino dell'interesse del pubblico, per cui se il basket interessa, i media lo seguono, se no non lo seguono. Pensare che siano i media a creare l'interesse è illusorio. Li si può aiutare non mettendo i bastoni fra le ruote, leggi facendo campionati comprensibili, in orari comprensibili, con formule non astruse, ma se l'interesse primario non c'è, non ci sono media che tengano che possano farlo nascere. Forse un po' alimentarlo sì, ma farlo nascere neppure per sogno. Va da sé che il numero degli spettatori e l'interesse sul campionato nazionale è anch'esso una conseguenza del dato basilare eccetera.

Come fare per dare una medicina? Molto semplice. Far giocare i ragazzi il più gratis possibile in campionati di base, estesi a scuole elementari e medie inferiori senza alcuna ingerenza da parte dei club organizzati, ma soprattutto "liberalizzando" il circuito dei tornei amatoriali sottraendoli alle organizzazioni private (ACLI, UISP) e gestendoli direttamente (il più gratis possibile!) dalla FIP che per quanto riguarda i soldi che spende per le squadre nazionali e per il suo apparato si arrangi e li trovi dove vuole e se non li trova abolisca sia le squadre nazionali giovanili (deleterie, dispendiose ed inutili – risposta indiretta alla valenza dei successi in campo giovanile) che tutto il proprio apparato. E se non riesce a trovare uno sponsor per la nazionale maggiore vada in malora. E in più, nota un po' a margine, far sì che sempre più ex giocatori di basket sostituiscano quelli di pallavolo quali professori di educazione fisica a scuola, quella delle "quattro mura". Solo ricreando l'humus di cui parlavo prima (praticanti, appassionati, dirigenti) che nel basket vedono un divertimento ed un modo di socializzare senza pensare ad alcun tipo di guadagno si può ricreare l'interesse e ripristinare la salute.

Utopia? Certo, di realizzazione totalmente impossibile. Per cui è mia precisa convinzione che il basket in Italia stia pian piano entrando sotto la tenda ad ossigeno come malato terminale.