In attesa delle Final Four dell'Eurolega e delle fasi decisive dell'NBA (che per adesso non guardo ancora, per cui non chiedetemi nulla, perché proprio non so niente) non mi andava di scrivere di basket, e dunque non sapevo proprio di cosa scrivere.

Poi mi avete dato un ottimo spunto, alimentato dall'ormai mitico cartone di Delio Rossi al suo viziato giovincello che aveva avuto l'ardire di sostituire. Devo dire che sul momento non ci avevo riflettuto, sotto choc com'ero per l'incredibile cagata perpetrata dal più forte portiere del mondo che potrebbe privarci del meritatissimo scudetto della terza stella (scusate, ma come ho avuto più volte modo di dire: ci sono solo due cose sicure al mondo, una è che Elvis è ancora vivo e l'altra è che la Juve ha vinto 29 scudetti). L'argomento però è ghiotto e si presta a tutta una serie di considerazioni.

Intanto una premessa. Sta per parlare uno che in vita sua, fra le innumerevoli squalifiche subite nella sua carriera di focoso allenatore, ce ne ha una che è ancora gelosamente conservata e che mi arreca sempre un perverso godimento quando la riguardo, perché penso di essere in questo campo una specie di unicum. La squalifica recita: "L'allenatore della SS Polet Sergio Tavcar è squalificato per due turni per avere fisicamente infierito su un suo giocatore". La storia intera, per chi è interessato, sarà narrata alla sconvescion. Per ora basti dire che tanti anni fa ('78) giocammo uno spareggio a tre con la prima che passava dalla Prima Divisione in Promozione, cosa seria, visto che i campionati, rispetto a quelli di adesso, vanno scalati di una serie (allora non c'era ancora la B-2). Una partita al giorno in campo neutro, ma neanche tanto, visto che si giocava a Gorizia con una squadra del goriziano e due di Trieste ed infatti gli arbitraggi sospinsero letteralmente la squadra goriziana avanti. Noi giocammo proprio la prima partita contro i goriziani ed all'ennesimo fischio contro andammo tutti letteralmente fuori di testa. Alla fine, avendo perso di pochissimo (con qualsiasi altro arbitraggio avremmo vinto facile), feci alla mia abbattuta truppa un discorso che diceva pressapoco che avevamo perso la partita, ma non dovevamo perdere l'onore, per cui il giorno dopo, comunque andassero le cose, avremmo dovuto tenere un comportamento irreprensibile. Manco a dirlo il giorno dopo il mio play, un genio pazzo, andò in escandescenze, per cui, memore delle promesse, lo rincorsi per il campo per picchiarlo. Purtroppo mi sfuggì e mi beccai anche la squalifica. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

In teoria dunque non dovrei essere proprio io a pontificare in merito al comportamento che deve tenere in campo un allenatore. Però penso di poterlo fare lo stesso per una semplice considerazione: una cosa è allenare in Prima Divisione o comunque in campionati infimi – io allenavo fra l'altro completamente gratis – una cosa è invece essere allenatore di una squadra di vertice, tanto più se si tratta del calcio, sport nel quale ormai hanno una telecamera anche negli orifizi più reconditi di ogni singolo giocatore e che viene seguito da platee sconfinate. Tanto più in Italia, dove l'interesse per il calcio, secondo le inesorabili eredità che vengono dai tempi delle contrade, dei campanili, dei comuni tutti sempre in lotta l'uno contro l'altro, fa da sublimazione a queste ormai geneticamente acquisite attitudini mentali. Per cui il calcio, unico sport in Italia, viene preso tremendamente sul serio, costituendo il transfert degli istinti più primordiali delle genti italiche, e dunque viene giudicato secondo gli schemi tipicamente italiani che con lo sport vero nulla hanno a che vedere, nel senso che sei bravo solo quando vinci, indipendentemente da come ci sei riuscito. Se sei ricorso anche a qualche sotterfugio, in fondo niente male: il mondo è dei furbi. Detto di sfuggita, questa è anche la ragione per cui la cultura del doping, almeno in Italia, non verrà mai debellata. Malandrino, malandrino...ti sei dopato, eh? E come ti sei fatto pescare? Mi dispiace, ma per salvare la faccia dobbiamo darti una squalificuccia, ma non ti preoccupare, quando torni sarai accolto come il più integro dei figliol prodighi (Basso?). Questo per dire che, quando in Italia si ha a che fare col dio vittoria, qualsiasi considerazione morale, di fairplay, di rettitudine e sincerità vanno clamorosamente a farsi benedire. Con la più entusiastica approvazione delle varie platee di ultras.

Va da sé dunque che fare l'allenatore di calcio in Italia sia uno dei mestieri più stressanti che uno possa immaginare. Certo, sono pagati profumatamente, ma i nervi non se ne rendono conto ed uno comunque, per quanto col portafoglio strapieno, alla fine è ridotto ad uno straccio. Se poi l'elemento in questione è uno che dichiaratamente, per unanime consenso degli addetti ai lavori, è nella vita privata un gentiluomo, che ha un'indubitabile statura morale, allora lo stress deve essere ancora più forte, tanto che alla fine, come dicono benissimo i serbi, si strappa la pellicola (mentale). La reazione di Delio Rossi è dunque perfettamente comprensibile e da parte mia ha tutta la simpatia possibile, nel senso usato dagli inglesi per questa parola. Detto questo è solo ovvio che picchiare in campo un proprio giocatore davanti agli occhi delle innumerevoli telecamere di cui sopra, sia un gesto che va assolutamente evitato. Proprio perché si è allenatori di Serie A, perché si prendono tanti soldi, perché si è agli occhi del mondo la faccia del club, perché insomma si hanno responsabilità estranee alla stragrande massa degli allenatori. Da parte mia sono completamente dalla parte degli altri allenatori di Serie A che hanno, chi più chi meno apertamente, preso le difese di Rossi, però la cosa che mi da fastidio è il ribaltamento delle priorità nel ragionamento. Non si picchia in campo un proprio giocatore, fine. Tutto qui. Non esiste. Se lo si fa si paga un prezzo salatissimo, secondo me definitivo. Nel senso che un allenatore così non deve più allenare in Serie A. Per la semplice ragione che in situazioni analoghe potrebbe rifare quanto già fatto, visto che l'ha già fatto una volta.

Duro? Crudele? Draconiano? Ho paura proprio di sì. Nella vita ci devono essere errori imperdonabili nel vero senso della parola. Se uno prende una ciucca e si mette alla guida dell'auto investendo ed uccidendo un pedone non guida più, neanche quando esce di prigione. O almeno non dovrebbe farlo, perché in Italia, Paese cattolico per eccellenza, dove il perdono non lo si nega a nessuno, a patto che si dimostri pentito, contrito e reciti una serie variabile a scelta di preghiere varie, non si sa mai. Qui non si tratta di peccati che possano portare all'Inferno, perché un errore lo possono fare tutti, ma di un semplice ragionamento pratico, pragmatico quasi. Uno che è capace di fare certe cose è possibile che le rifaccia, dunque deve cambiare attività.

Fermo restando che Delio Rossi è un bravissimo coach e dunque nessuno secondo me gli potrebbe vietare, una volta scontata la squalifica, di rimanere nell'ambito del calcio di vertice facendo il Direttore sportivo, il Responsabile del vivaio, qualsiasi cosa, al limite anche un alto incarico nella Federazione, tutto fuorché l'allenatore in panchina. Del resto vi immaginate cosa potrebbe succedere se dovesse ritornare in panchina magari in una squadra non tanto sotto le luci dei riflettori? Cioè senza tante telecamere attorno. Vista la sua nomea qualsiasi mascalzone, sostituito per palese scarso rendimento, potrebbe inventarsi qualche storia di maltrattamenti accampando proprio i precedenti del suo coach. Senza contare l'impatto educativo che potrebbe avere sui suoi giocatori proprio perché quelle immagini le hanno viste tutti.

Ricapitolando da parte mia c'è tantissima comprensione per il povero (ebbene sì) Rossi, ma ragionando secondo le priorità giuste non si può non essere severissimi col gesto da lui fatto. Dice: ma tu per esempio cosa avresti fatto se un odioso moccioso, classica fece montata su uno sgabello, ti avesse applaudito ironicamente sparandoti anche (come sembra) un classicissimo "p.... ti materina" o un più succoso "jeboh ti pas majku" (Edoardo, per favore non tradurre) nella sua pittoresca lingua materna, solo perché avevi avuto l'ardire di sostituirlo dopo che in campo non aveva combinato una mazza? Risposta: non nego che nella data situazione avrei potuto reagire esattamente allo stesso modo, però penso che sarei stato lo stesso un po' più cauto. Avrei abbozzato rimandando tutto quanto al rientro negli spogliatoi dopo il primo tempo. Avrei chiuso la porta a doppia mandata e finalmente sarei passato alle vie di fatto. Picchiandolo di santa ragione. Lontano però dalle telecamere e dunque potendo poi smentire tutto quanto dicendo che magari l'occhio pesto gli era venuto scivolando nella vasca da bagno. Mi scuseranno le ragazze (ma a quanto pare questo sito è questione di soli uomini, ahimè), ma certe cose da uomini, nelle squadre di uomini, vanno risolte come solo gli uomini amano da sempre fare e come le donne non capiranno mai perché debbano essere risolte in modo tanto violento (loro preferiscono stilettate perfide e vendette a distanza, magari per interposta persona), cioè a pugni. Normalmente serve perché poi, chissà come, una volta regolati i conti, l'atmosfera si rasserena miracolosamente in modo quasi immediato.