Scrivere dell’Italia mi riesce difficile. Sono convinto infatti che sarò frainteso e che sarò alla fine annoverato nel novero di coloro che si cimentano nello sport nazionale italiano, il salto sul carro dei vincitori. Sarà veramente difficile tentare di spiegare che secondo me tutto segue un filo logico e ancora più difficile tentare di evitare il classico e odioso “ve l’avevo detto io”.

Comunque ci provo. Parto da una semplice constatazione: non credo vi sia al mondo qualcuno che creda che la nazionale di basket dell’Islanda sia nettamente più forte di quella di Israele. Se qualcuno lo pensa, smetta di leggere e vada a farsi ricoverare per provare a farsi disintossicare dall’evidente massiccia assunzione di sostanze psicotropiche. Eppure l’Italia contro l’Islanda stava perdendo la partita e invece a Israele ha dato 30.  Perché? Semplicemente perché contro l’Islanda, come contro la Turchia il giorno prima, aveva fatto schifo, ieri invece ha giocato maledettamente bene. Tutto qua. Cos’è cambiato?

Secondo me l’unica cosa che non è cambiata è l’atteggiamento che è stato positivo anche nei momenti bui e alla nazionale tutto si può imputare, meno che non si impegnasse, e questo è già comunque molto buono. Tutto il resto sì. Adesso di Pianigiani si può dire di tutto e di più, ma l’unica cosa che non dirò mai, neanche sotto tortura, è che non capisce di basket. Non ho problemi a affermare che lo reputo un amico, avendoci parlato e discusso tantissime volte, e ogni volta ha detto cose sensate, logiche e profonde, per cui ascoltarlo è un piacere. Di lui si può dire che a volte è troppo sensibile alla direzione da dove arrivano gli spifferi, che può non avere il polso giusto per imporsi all’ambiente e soprattutto ai giocatori, soprattutto quelli dell’NBA (che, non dimentichiamocelo mai, guadagnano una barca di soldi più di lui con tutto ciò che ne consegue), che insomma non sia un sergente di ferro (che in sé non è una colpa), ma forse a volte neanche un sergente di alluminio o di rame come il coach di una nazionale dovrebbe essere. Evidentemente, per come ha giocato ieri l’Italia, lui l’idea giusta di come dovesse giocare ce l’aveva, solo che finora non si era vista. Capisco che le prime partite fossero difficili anche psicologicamente, che la partita con la Germania fosse un terribile dentro o fuori che non porta certamente al massimo della lucidità, ma non si può capire perché in quelle partite il piano partita apparisse a rovescio con i giocatori a fare cose che non dovrebbero fare, con i tiri che venivano presi dal primo che capitasse, non solo, ma che lo stesso giocatore arrivasse al tiro dopo aver giocato da solo per tutta l’azione (il play gli passa la palla e poi non la vede più – sfido che si palesasse una carenza nella costruzione del gioco, semplicemente non c’era; come può un play organizzare il gioco se dopo i primi secondi la palla non la vede più?), senza un minimo di gioco dentro, di tagli dal lato debole, di magari dei dai-e-vai da bambini, insomma di un minimo di gioco di squadra. A dire il vero contro la Germania si era già visto almeno un abbozzo di gerarchie, non per niente i tiri se li prendevano per primi quelli deputati a farlo, ovviamente Gallinari e Belinelli. Ieri contro Israele, a parte la difesa, finalmente con i giocatori attenti anche sul lato debole, con rotazioni e aiuti coerenti e puntuali, ha funzionato in modo perfetto l’attacco. Per esempio a rassicurarmi all’inizio sono state le prime due triple di Belinelli, segnate dopo uscita dal blocco con ricezione senza mettere la palla per terra, cioè il tiro che per Belinelli propugnavo da tempo immemorabile. Poi si è vista molta più pazienza con molta più rotazione di palla e coinvolgimento di tutti i giocatori, con lo stesso Gentile che sembrava un altro giocatore rispetto al narcisista delle prime partite. Se gioca sempre così, prendendosi i tiri che deve prendere e non volendo fare il fenomeno, poi finisce che in effetti ha il rendimento di un fenomeno (per essere fenomeni bisogna non farlo – meditate, gente), anche in difesa, nei recuperi, nella presenza su ambo i lati del campo. In definitiva appariva lampante come il piano partita fosse stato pensato nel modo migliore e soprattutto come sia stato eseguito perfettamente. Dunque bisogna dare i meriti giusti allo staff tecnico. Perché però prima non veniva eseguito? Non lo so, ho però il sospetto che finalmente anche i giocatori abbiano capito che fare quello che Pianigiani vuole è meglio per tutti, per primi loro stessi. Sono dunque molto ottimista, sempre nel caso che quest’ultima affermazione sia vera. Se i giocatori hanno veramente deciso di ascoltare l’allenatore, convinti che sia la cosa migliore da fare, allora veramente si può sperare. Poi magari arriva la partita in cui non entra niente, che giochi con l’acqua alla gola, ma sono convinto che, se tutti remano nella stessa direzione, allora si può fare. Almeno con la Lituania, salvata ieri da un Mačiulis in versione mostro, cosa che però, come a Milano sanno benissimo, non è che lo sia sempre.

Due parole infine sulla Croazia. Credetemi, contro la Slovenia e la Grecia aveva giocato benissimo, poi non l’ho vista più, anche se i risultati da quel momento in poi, con la stentata vittoria sull’Olanda e la sconfitta con la Georgia, mi avevano lasciato molto perplesso. Ieri si è visto perché già a Zagabria avessero stentato. Non sono esistiti. Evidentemente Perasović all’inizio era riuscito a mettere un po’ di ordine nella squadra, facendo giocare i giocatori che ne avevano voglia, poi però le forze occulte di cui parla Radja devono essersi messe in moto, Perasović ha perso ogni autorità che poteva avere, la squadra è andata allo sbando e il coach, persona seria, ha dato le dimissioni per direttissima. In un contesto del genere l'unica spiegazione possibile è che il marcio sia molto a monte. Non sono addentro alle cose del basket croato, non saprei indicarvi nomi e cognomi (oddio, uno sì, ma visto che non ho prove, me lo tengo per me), ma uno sviluppo del genere non può che essere dovuto alle cose che Radja lamenta. Anche se, vista la sua opinione sul basket moderno che combacia perfettamente con quella di un obsoleto passatista che scrive su queste pagine, verrebbe da dubitare delle sue capacità di intendere e di volere.

Per finire: parlavo nella mia lettera aperta a Bargnani dei giocatori dotati della divina dote di rabdomanti della palla a rimbalzo. Moses Malone di questa rarissima specie è stato l'esempio più fulgido e lampante.