Subito a ruota un altro post anche per far passare in secondo piano quello precedente che spero pochi abbiano letto. Mettere in piazza cose personali che interessano lo scrivente e praticamente nessun altro è stata un’operazione sbagliata e infatti in un primo momento volevo tenermela per me per rileggermela magari fra qualche anno e vedere cosa pensavo nei momenti bui dell’isolamento. Poi c’è stato l’intoppo con il sito che ha un po’ rivoluzionato i piani. È successo infatti una mattina che, aprendo il sito, ho trovato le indicazioni in inglese, ma soprattutto ho notato con raccapriccio che non riuscivo ad aprire la sezione dei commenti. Ho subito telefonato al mio braccio (destro e sinistro insieme) “the administrator” Tommaso che, vista la mala parata, ha detto subito “Sergio, saranno c….!” Si è messo al lavoro e dopo ore di tentativi e di improperi, chiamiamoli così, molto succosi è riuscito, lui dice che neanche lui sa come, a rimettere le cose a posto che per ora funzionano. Fino a quando non si sa, per cui, se volete commentare, fatelo presto prima che tutto vada a ramengo. E la pubblicazione delle mie riflessioni personali è stata un po’ la cartina di tornasole per vedere se le cose erano andate veramente a posto. Posso aggiungere che i primi commenti che avete postato mi hanno rincuorato, perché avete scritto esattamente quello che mi attendevo che persone per bene con opinioni diverse dalle mie scrivessero. Direi non solo rincuorato, ma francamente ne ho gioito pensando alle persone veramente come Dio comanda (è un modo di dire…) che con il tempo hanno cominciato a frequentare questo blog. Non sapete quanto ve ne sono grato e vi ringrazio di cuore.

 

Tornando a cose normali la prima cosa che voglio dire con orgoglio e un po’ di autocompiacimento è stata leggere sul sito della Repubblica di qualche giorno un pezzo di Riccardo Luna sull’autocertificazione che ricalca praticamente parola per parola quanto scritto dal sottoscritto una decina di giorni fa. Evidentemente non sono l’unico a pensare in un certo modo e la cosa mi dà molta soddisfazione.

Ora si sta parlando molto di come si farà a ritornare alla normalità e la cosa mi preoccupa molto, nel senso che ancora non sappiamo dove andremo veramente e quale sarà la vita di ogni giorno quando il picco dell’emergenza sarà stato superato e si ritornerà pian piano ad una vita più normale. Niente sarà come prima, è ovvio, ma come sarà? Voi ne avete un’idea?

Dal punto di vista economico vi devo confessare una cosa. Sono tutto sommato più tranquillo di ricevere i soldini per il mio sostentamento dalla Repubblica di Slovenia e non da quella italiana, e ciò per una semplice ragione: sono sicuro che gli sloveni siano molto meglio preparati rispetto agli italiani a questo cataclisma. E questo per una, anzi tre, semplici ragioni che, stranamente, sono in una vita normale gravi difetti, mentre in situazioni come questa diventano virtù. Intanto gli sloveni sono austro-ungarici, per cui quando l’autorità dice o ordina qualcosa diventa automaticamente “befehl” che non si discute e i pochi furbi vengono immediatamente messi alla gogna e svergognati. Poi, come ho detto più volte, sono il popolo più pessimista e disfattista che io conosca al mondo, per cui se una catastrofe può avvenire, avverrà sicuramente secondo le più ferree leggi di Murphy, e anche questo è un atteggiamento che in queste situazioni è molto utile. Inciso: è molto istruttivo paragonare i TG italiani e sloveni in questo periodo. Quelli italiani partono dicendo (è cinico, ma si deve fare, inutile) che per fortuna oggi i morti sono 100 meno di ieri, mentre quello sloveno parte con il conduttore che esordisce con una faccia da funerale dando la notizia che in giornata c’erano stati in Slovenia due altri morti nell’ospizio di Metlika che ha portato la somma totale dei morti in doppia cifra. E infine, e mi riallaccio a quanto scritto una volta da Andrea-Llandre che, da uomo di frontiera (che non sa neanche lui se è veneto o friulano) che conosce benissimo i caratteri (visto quant’è utile avere una visione “stereoscopica” di quanto ti sta attorno?) sia dei veneti che dei friulani, fece un bellissimo paragone su come vengono percepiti i soldi dagli uni e dagli altri. Ebbene quanto scrisse allora sull’atteggiamento dei friulani rispetto ai soldi mi convinse ancor di più di quanto penso da tempo: che cioè friulani e sloveni sono esattamente la stessa gente che parla due lingue diverse. In definitiva siamo di fronte a gente fondamentalmente tirchia nel senso più benevolo del termine (attenzione, da buon sloveno quando ero piccolo ero tifoso di Zio Paperone! – non c’era persona che più di me capisse lo strazio per un cent caduto nel tombino), per cui ogni soldo buttato via è uno strappo al cuore. E anche questo atteggiamento da formichine prudenti in occasioni del genere è utile. Infatti in Slovenia è partita una corsa alla produzione di mascherine, sia artigianali che da parte di ditte di prodotti tessili che la gente compra senza attendere il benestare delle autorità che devono mettere il bollino di qualità. Essendo austro-ungarici si fidano di quanto comprano e ciò per una semplicissima ragione: se qualcuno produce una patacca e si sparge la notizia (e credetemi, in Slovenia una notizia del genere si propaga alla velocità della luce) è semplicemente fuori mercato e può subito chiudere. Per cui non gli conviene fare il furbo per semplici questioni materiali e non certamente etiche.

Tornando a quanto appena scritto mi interesserebbe sapere la vostra opinione su come venga trattata la situazione dai media, giornali e TV, dei social non parlo perché non li calcolo neppure, visto che per la maggior parte, sapete la mia opinione, sono un letale strumento di distrazione di massa. Come suppongo tutti voi di questi tempi guardo molto la TV e seguo più o meno tutte le trasmissioni che parlano del tema. Chiaramente Mediaset, essendo parte politica in causa, non la seguo neppure, ma ciò succede per me esattamente da sempre (ricordate Mimoun? – brrr…), per cui il riferimento è Sky, che è pure parte politica in causa, ma che deve sforzarsi di essere neutrale, per cui fa in definitiva un lavoro decente, poi la RAI che è sempre più elefantiaca e burocratica e mi delude ogni giorno di più, e infine La7 che, non so per voi, ma per me è diventata la TV di riferimento. Si può dire di Mentana quello che si vuole, ma non che non sia un giornalista vero che interpreta il suo ruolo come una missione ed è sempre e comunque presente. Inutile, bisogna avere il dono, l’istinto del giornalista, fiutare la notizia e lui tutte queste cose le ha. Quando è scoppiata l’epidemia e tutti la sottovalutavamo un giorno dedicò tutto il TG all’argomento del coronavirus e io per primo ero convinto che esagerasse e cercasse semplicemente visibilità. Si è visto poi quanto avesse ragione. Poi a volte è quasi una macchietta di se stesso quando si agita guardando da tutte le parti e soprattutto sul suo telefonino per dare per primo la notizia di qualsiasi lancio dell’ANSA dell’ultima ora, ma fa parte del gioco e del personaggio e almeno io personalmente accetto questo gioco anche con un po’ di divertimento. C’è però una cosa che, almeno giudicando dal mio punto di vista di uomo di televisione, mi dà un enorme fastidio: praticamente in tutte le trasmissioni di approfondimento, non so perché, ma tutti i conduttori italiani sono convinti di essere le stelle della trasmissione e si intromettono di continuo in quanto dicono gli ospiti. Che ora sono collegati normalmente via Skype con il fisiologico ritardo temporale dell’audio che crea casino galattico quando uno parla, dallo studio il conduttore lo interrompe, lui parla avanti perché ancora non gli è arrivata l’interruzione, quando gli arriva si ferma, ascolta e c’è un momento di tragico silenzio che è normalmente interrotto dalla simultanea entrata in scena sia del conduttore che dell’ospite. Per cui tutto va a escort e nessuno riesce in definitiva a dire niente. C’è soprattutto quella Myrta che imperversa all’ora di pranzo con ospiti eccellenti che avrebbero tutti qualcosa di importante da dire, solo che lei non li lascia parlare. Un esperto, quando gli fanno una domanda, è uno che distingue: parte dalla premessa per arrivare alle conclusioni e quando finalmente comincia a tirare le fila lei lo interrompe con qualche sua considerazione di cui a noi tutti non potrebbe fregare di meno, così che quanto vorrebbe dire l’esperto semplicemente si perde e io ho l’impulso di scaraventare qualcosa verso la TV. Per fortuna non lo faccio anche perché ho appena comprato un televisore nuovo, più moderno. Addirittura Lilli Gruber, che pure è “tetesca” ed è bravissima nel suo mestiere, ogni tanto cade nella tentazione di dare sulla parola all’ospite, anche se lei è molto più scusabile in quanto, quando lo fa, lo fa a causa di una clamorosa puttanata proferita dall’interlocutore che le fa salire la temperatura allo stesso modo nel quale sale in ogni spettatore normale.

Ovviamente in questi giorni guardo molto la CNN per vedere cosa succede dalle loro parti, ma anche per capire tecnicamente quale sia l’impostazione delle loro trasmissioni. Cosa volete, il lupo perde il pelo, ma non il vizio. La cosa che salta subito agli occhi è la straordinaria differenza rispetto a quanto succede da noi. L’intervistatore fa una domanda all’ospite, attende la risposta e poi fa la domanda successiva. In perfetto ordine senza mai interrompere, parla uno per volta e alla fine si capisce tutto. Un’altra galassia, dal punto di vista comunicativo. Fra l’altro ieri ho guardato la trasmissione di Christiane Amanpour che è il miglior giornalista mondiale di gran lunga da molto tempo. Sia dal punto di vista contenutistico che strettamente tecnico da leccarsi i baffi. Fra l’altro ha fatto un’intervista all’ex governatore della Sud Carolina che è ora a capo dell’organizzazione dell’ONU che distribuisce il cibo alle popolazioni affamate del mondo e che è fra l’altro appena guarito dal virus che aveva contratto durante uno dei suoi viaggi. Il quale ha detto una cosa agghiacciante: se la crisi in atto dovesse portare alla decurtazione del solo 30% rispetto ai fondi che la sua organizzazione riceve ora questo vorrebbe dire 150 mila (!!) morti di fame in più nel mondo al giorno (!!). Come si vede il problema è ben più grave visto dalla prospettiva di chi al mondo non ha rispetto a noi viziati del mondo opulento.

E per finire il famoso aneddoto su Bora Stanković. Era il 1987, Novi Sad, finale di Coppa Coppe Cibona-Scavolini. La FIBA indice una conferenza stampa a cui partecipiamo tutti i giornalisti presenti. Dopo l’introduzione cominciano le domande. E io attendo che qualcuno faccia la domanda che secondo me era quella fatidica che doveva venir posta, l’unica veramente interessante e di attualità. La mia attesa però è vana, in quanto tutti fanno domande insulse o di pura routine. Ragion per cui prendo il coraggio di tipo turco (come dico io, non a quattro mani, ma addirittura a ottomani – scusate la stronzata, ma i tempi che viviamo portano anche a sbarellare di tanto in tanto), alzo la mano, ho la parola, mi presento e pongo questa semplice domanda: “Qual è lo stato attuale dell’arte dei rapporti fra FIBA e NBA? Ci sono chance che un giorno i professionisti possano partecipare alle competizioni FIBA?”  La soddisfazione che provai in quel momento fu gigantesca, in quanto il viso di Stanković, appena sentì la mia domanda, si illuminò di colpo ed ebbi la netta sensazione che avesse indetto la conferenza stampa proprio per parlare del tema, in quanto c’erano novità sconvolgenti. Non finii neppure la domanda che cominciò subito a rispondere ed andò avanti per buoni 10 minuti. I rapporti con l’NBA, disse, erano eccellenti, lui e Stern erano sulla stessa lunghezza d’onda, la collaborazione non solo nel progetto Torneo McDonald andava avanti a gonfie vele, per cui si dovevano solamente attendere i tempi tecnici per risolvere tutti i giganteschi problemi burocratici e regolamentari che dividevano le due organizzazioni e trovare un punto di intesa per stilare un codice di comportamento e di divisione di ruoli condiviso da entrambe le organizzazioni e, sì, dal suo punto di vista i tempi erano più che maturi perché un giorno le competizioni FIBA fossero aperte a tutti, professionisti compresi. Anzi, lui era molto fiducioso che la cosa sarebbe avvenuta in tempi ragionevolmente brevi. Tutti guardarono attoniti, perché nessuno fino a quel momento aveva mai immaginato che la FIBA arrivasse a tanto. E, devo dire, la soddisfazione per avere in qualche modo innescato la storia del basket mi pervade ancora adesso.