Ho seguito con moltissimo interesse il dibattito che si è sviluppato nella sezione commenti al mio ultimo post fra Edoardo e Vladimir da una parte, proto-complottisti che non possono uscire completamente allo scoperto su questo blog viste le opinioni del “tenutario” da una parte e Stefano dall’altra che, e la cosa mi preoccupa, è l’unico a lanciarsi lancia in resta contro questo mefitico sottobosco che si nutre di notizie sparate a un tanto al chilo per avere i famosi 15 minuti di notorietà come diceva Andy Warhol. Ovviamente, per quanto io e Stefano siamo su sponde completamente opposte in fatto di gusti musicali, essendo che a lui appaiono sommi musicisti a me totalmente sconosciuti o che, per meglio dire, quando li ascolto non mi dicono niente e totalmente viceversa, su questo campo siamo totalmente e perfettamente d’accordo.

Come, inciso, sono perfettamente d’accordo con la sua osservazione sulla pratica del basket in questi tempi di coronavirus, cosa che mi fa temere che per la ripresa a pieno regime del nostro sport i tempi saranno lunghissimi, forse molto più lunghi rispetto ad ogni nostra attuale più pessimistica possibile previsione. Altro inciso di tipo musicale, e qui rispondo con larghissimo ritardo ad una domanda che mi fece tempo fa Llandre che mi chiedeva se mi piacesse più la musica dal vivo o quella fatta in studio, fermo restando che solo lo studio esprime perfettamente l’idea che un musicista vuole realizzare, i concerti dal vivo danno emozioni diverse e anch’esse molto intense se vengono rispettate alcune condizioni, la prima e fondamentale delle quali è la chimica che si crea sul palco soprattutto quando ad esibirsi sono musicisti che normalmente non suonano assieme. Quando questo succede non credo ci possa essere soddisfazione e emozione più grande che quella di ascoltarli e di godere con loro. Per esempio non posso non ricordare il concerto londinese di Carl Perkins, per chi non lo sapesse leggenda del rockabilly, Mr. “Blue Suede Shoes”, ispiratore di tutta una generazione di musicisti inglesi dei primi anni ’60, Beatles in testa, nell’85 con ospiti sul palco Ringo Starr e George Harrison, per non parlare di Eric Clapton. In quel caso George, reduce da un periodo non fortunato, era quasi intenzionato ad appendere la chitarra al chiodo e accettò di partecipare al concerto solo in quanto Carl Perkins era uno dei suoi idoli assoluti in gioventù e di lui conosceva proprio tutte le canzoni (dal vivo suonava spessissimo, anche allo Shea Stadium di New York, “Everybody’s Trying To Be My Baby”). Prima di salire sul palco, diceva la moglie Olivia, era nervosissimo, ma una volta salitovi, messo a suo agio dai vecchi compagni e amici (per quanto Eric Clapton gli avesse soffiato la moglie erano rimasti amici), cambiò di colpo umore e, lo si vede dal filmato del concerto,  prototipo della musica che vorrei ascoltare ad oltranza in paradiso, più passa il tempo e più gode come un porcello. E infatti, dice sempre Olivia, a concerto finito era un altro uomo che si era lasciato alle spalle il periodo buio e la sua carriera ebbe un drammatico cambiamento che portò qualche anno dopo a quell’assoluto capolavoro che è il primo disco dei Traveling Wilburys assieme a Jeff Lynne, Tom Petty, Roy Orbison e Bob Dylan, disco che penso di aver ascoltato almeno un migliaio di volte e che ogni volta mi dà sempre le stesse identiche ineffabili emozioni. In questi ultimi tempi nei quali siamo tutti sempre più malinconici e riflessivi (almeno a me succede, ho la lacrima sempre più facile e incontrollabile) ho pescato su Youtube un concerto che reputo straordinario risalente al 2006 tenuto a Los Angeles alla fine del loro Tour di promozione del disco fatto assieme da Mark Knopfler e Emmylou Harris (“All the Roadrunning”, per chi gli interessa). Ecco, se volete sapere cosa mi emoziona fino al midollo, ascoltate questo concerto, soprattutto “Our Shangri-la”, “If This Is Goodbye” e soprattutto “Why Worry”, vecchia canzone dei Dire Straits di Brothers in Arms, che con l’aggiunta della voce angelica di Emmylou diventa straziante.

Tornando all’argomento principale un piccolo riaggancio a quanto detto, nel senso che quando vedo a Otto e mezzo alle spalle del direttore del Fatto Quotidiano Scanzi un maxiposter che raffigura i miei idoli assoluti della chitarra, i succitati Mark Knopfler e Eric Clapton, sono portato ad avere molta più comprensione verso quanto dice, e dunque da questo punto di vista sono condizionato e non posso essere imparziale. In generale comunque dopo tutto questo tempo passato a guardare la TV per tentare di informarmi su quanto succede mi riesce sempre più chiaro capire il perché tanta gente stia sbarellando pericolosamente verso le famose opinioni complottistiche di cui sopra. La ragione principale rimane ovviamente sempre quella esposta nel mio precedente intervento, e cioè quella che siamo una specie superba e arrogante che è convinta di avere in mano le sorti della terra, per cui tutto quello che succede deve essere per forza creato da noi che siamo onnipotenti. Un’altra fondamentale ragione è che, più in realtà siamo ignoranti, più vogliamo avere certezze secondo il famoso e totalmente inconfutabile detto friulano che afferma che solo il mona sa tutto. La scienza è però tutt’altra cosa. E’ una cosa seria che si basa su fatti sperimentali verificabili e ripetibili, nel senso che una cosa può considerarsi vera solo quando sempre, fatte le dovute premesse, alle stesse condizioni di partenza alla fine del processo le conclusioni alle quali si perviene sono sempre le stesse. Una volta assodato questo, e solo allora, si può continuare a andare avanti. Uno scienziato, più vero è, più dubbi ha. Se viene interpellato deve per forza fare una lunghissima premessa, esporre i fatti, fare le sue considerazioni e solo alla fine di un lungo discorso esporre le sue personali conclusioni che sono comunque di tipo statistico, nel senso che è probabile (poco, abbastanza, molto) che le cose stiano così, ma non è assolutamente detto, in mancanza di dati affidabili e completi. Immaginarsi quando di fronte si trova un fenomeno del tutto nuovo, alle prese con un virus di cui non si sa nulla, mai visto prima, che si deve appena studiare come si comporta, cosa fa, quanto è pericoloso, che sviluppi provoca, tutte cose che solo l’esperienza vissuta sul campo potrà in qualche modo svelare, esperienza che però, proprio perché si procede a tentoni, sarà nel suo svolgersi crudele e penosa.

Ed è proprio qui che casca l’asino, ovviamente. I vari talk show sono alla ricerca di facile audience e quale audience è più facile della stragrande maggioranza dell’umanità afflitta da congenita monaggine (termine triestino intraducibile che è l’unico perfettamente calzante al tipo di persone che prendo in considerazione) che vuole avere certezze ora e subito. Monaggine che non risparmia certamente i conduttori stessi dei talk show che, proprio perché devono avere il polso delle sensazioni e dei desideri delle persone che li ascoltano, devono a loro volta avere in sé una buona dose di monaggine per entrare in sintonia con la loro platea. Per gente di questo tipo, ripeto ahimé la stragrande maggioranza dell’umanità che odia pensare con la propria testa e porta volentieri il cervello all’ammasso, basta non fare fatica mentale, uno scienziato che articola il suo discorso è la iattura più terribile che possa capitare. Intanto non sciorina certezze, ma soprattutto tenta di partire da lontano per spiegare le cose con i dovuti distinguo, cosa che fa andare in bestia il conduttore (-trice, anche, sia ben chiaro), che intanto sta contando quante persone abbiano nel frattempo cambiato canale, che alla fine lo interrompe con la domanda inevitabile e sommamente antiscientifica  “Insomma, sì o no?” alla quale lo scienziato vero non può che rispondere “Non lo so” con conseguenze disastrose per l’audience che, dal basso della sua diffusa monaggine, arriva alla conclusione che, non sapendolo, che cavolo di scienziato è?

Immaginarsi allora la catastrofe che avviene quando si porta tutto questo sul piano della rete e degli a-social. Dice Stefano, secondo me cogliendo in pieno l’occhio del toro, come dicono in America, che sulla rete l’opinione di uno che dice cazzate ha lo stesso peso di quella di altri 9999 che invece sono seri e dicono le cose giuste. Non solo, ma essendo cazzate che vellicano le ansie più ancestrali dell’umanità, sono recepite in modo del tutto distorto come: “ecco, finalmente uno che dice le cose come stanno”, cioè come la famosa stragrande maggioranza di mone vorrebbe che fossero. Attenzione! La monaggine nulla ha a che fare con l’istruzione formale, ma è uno stato mentale congenito non emendabile. E infatti, parafrasando un famoso detto di Karol Čapek, non c’è iattura più deleteria per l’umanità che un mona istruito. Ragion per cui le cazzate spaziali che circolano sulla rete possono tranquillamente fare presa anche su persone dotate di un’istruzione formale che dovrebbe distoglierle da idee balzane del genere, ma che evidentemente, di fronte alla monaggine congenita, non può prevalere, anzi normalmente ha l’effetto esiziale di esaltarla ulteriormente.

Tornando in TV c’è l’ulteriore problema degli interessi politici che inquinano ulteriormente ogni tipo di discorso serio che si vorrebbe fare. La destra, esclusa dal governo dalle mire megalomani di Salvini, ora fa un casino della madonna del tutto strumentale, sperando di portare gli italiani dalla sua parte urlando slogan sempre più deliranti, tipo quello che contesta la sacrosanta necessità di regolarizzare, o almeno di fare uscire alla luce del sole, tutti i nuovi schiavi che lavorano nei campi e senza i quali col c…o che avremmo ogni giorno in tavola i nostri pomodori o le nostre arance. Dice Salvini, perché regolarizzare i migranti quando si potrebbe dare lavoro agli italiani che ora ne sono rimasti senza? Sì, ma omette di chiarire il piccolo particolare su chi andrebbe a lavorare da schiavo a due-tre euro a ora senza alcun tipo di tutela tornando alla sera a dormire in una baraccopoli possibilmente infetta. Oppure avremmo nei negozi arance e pomodori a prezzo almeno triplo, se non di più. E’ il mercato e la libera concorrenza, baby! Non vuoi i migranti che lavorano da schiavi? E allora paghi. Tertium non datur. Per non parlare proprio della mancanza di istruzione di base. Ho letto da qualche parte che un produttore di latte voleva dare un lavoro ai disoccupati indigeni della zona, salvo notare con raccapriccio che nessuno aveva la minima idea di come si mungesse una vacca, per cui ha dovuto soprassedere. Insomma, la destra le spara sempre più grosse fidando nella monaggine della maggioranza, cosa comunque sempre da farsi, visto che le dimensioni della monaggine di massa sono insondate e insondabili. Per cui i vari Sallusti, Bechis, Belpietro, per non parlare di un tale Senaldi che già dalla faccia si vede che ha qualcosa di strano, sono sempre più dischi rotti che ripetono sempre le stesse identiche cose, tanto che ormai, quando parla uno di loro, so già in anticipo quanto dirà e faccio zapping.

In tutto questo desolante panorama ci sono comunque secondo me spiragli di luce, basta saperli cogliere. Sembra incredibile, ma esistono ancora piccole oasi di buon senso e di vera informazione. Per esempio, sembra incredibile, ma i tre quarti d’ora dalle 6 e un quarto della sera fino alle sette su SkyTG24 sono molto seguibili e infatti li seguo ogni giorno. Semplicemente commentano ogni giorno i numeri della pandemia appena resi noti dalla Protezione civile nell’unico modo umano possibile: il conduttore in studio è collegato con due veri esperti che incredibilmente lascia parlare ponendo anche domande pertinenti e in più c’è in collegamento il vicedirettore della testata che con grafici molto belli e chiari illustra la situazione e a sua volta pone domande pertinenti e interessanti agli interlocutori. Penso che quanto ho appreso su questa pandemia sia praticamente tutto dovuto a questo spicchio di trasmissione. C’è poi una squisita oasi di informazione, ma soprattutto di divulgazione scientifica inserita quasi di straforo nella megamaratona del martedì di Floris (d’accordo, insopportabile nel suo continuo interrompere i suoi interlocutori con l’aria del saccente tuttologo) verso le 11 di notte quando Floris si collega con Zurigo con Barbara Gallavotti, scienziata e giornalista divulgatrice, autrice fra l’altro di Superquark, che spiega in modo piano e accattivante tantissime cose riguardanti la scienza con aneddoti storici interessantissimi, ma soprattutto spiega le cose correnti in modo a tutti comprensibile. Una TV normale metterebbe una rubrica del genere sempre e comunque in prima serata. Perché debba essere relegata alle 11 di notte sulla 7 dice di suo già molte cose. Molto poco confortanti.

 

Nota a pie’ pagina: sul significato profondo dell’aggettivo triestino mona racconto spesso la barzelletta che mi ha raccontato quando ero piccolo mio zio Berti (Albert, come sapete mia mamma di cognome Lange era di origini tedesche) e che spiega perfettamente il concetto. Probabilmente l’ho già riportata anche su questo blog, ma per i nuovi la ripeto.

Allora: un professore guida la sua macchina in campagna e a un dato momento i bulloni di una ruota si svitano, la ruota si stacca e lui rimane fermo affranto sul ciglio della strada. Nelle vicinanze c’è un grande palazzo bianco con su scritto “Casa di igiene mentale” con un uomo in bianco che osserva la situazione affacciato a un davanzale. L’uomo a un dato momento dice: “La scusi, la sa, ma perché no la ciol un bulon de ogni rioda (ruota) e la lo meti al posto de quei che xe cascai? Con tre buloni per rioda la riva facile ala prima stazion de servizio.” “La sa che la ga proprio ragion? Grazie…la me scusi una curiosità: ma lei la xe un infermier, un dotor…?” “No, son un paziente” “Insoma, la xe un…?” “Sì, son un mato. Mato sì, ma mona no.”