Se vi interessa ho recepito le vostre rimostranze sul fatto che il mio interesse per il basket è in questo momento molto flebile, per cui mi sono proposto di fare il mio compitino per casa e di sforzarmi di vedere qualche partita per poter poi essere partecipe alle discussioni. Il problema è che per vedere basket, sia di campionato che di Eurolega, bisogna avere un calendario estremamente accurato della programmazione delle varie TV, perché per vedere qualche partita bisogna essere informatissimi per poi non farsi sfuggire l’occasione di vedere qualcosa. Tanto per dire non sono ancora riuscito a vedere neanche una partita di Milano. Ovviamente di abbonarmi alle varie Pay-Tv in streaming non mi passa neanche per l’anticamera del cervello, sono carsolino e gettare soldi dalla finestra senza avere niente in cambio mi produce dolore fisico, dunque per avere qualche informazione in più dovrò ancora attendere un po’ di tempo, per cui di basket parlerò più avanti.

Vi dicevo l’altra volta che mi aveva estremamente interessato (con un americanismo di questi tempi il verbo di moda sarebbe “intrigato”, ma dalla mia bocca questa parola non la sentirete mai neanche sotto tortura) il vostro discorso sulla stretta correlazione che è stata rilevata fra la capacità di linguaggio e l’intelligenza. Intanto su tutta la questione aleggia la domanda di tutte le domande che in definitiva si può sintetizzare chiedendoci se sia nato prima l’uovo o la gallina. Fra parentesi la mia convinzione è che sia nato prima l’uovo, nel senso che nell’evoluzione delle specie deve essere successo un momento preciso nel quale una ancora quasi gallina, per l’ennesima mutazione genetica, abbia fatto l’uovo della prima gallina a tutti gli effetti. E dunque è nato prima l’uovo. Ma non divaghiamo con queste scemenze. Quello che volevo dire è che se uno ha capacità limitate di linguaggio è perché è nato imbecille e viceversa, oppure se la limitata capacità generale di esprimersi dovuta all’incidenza dell’ambiente sia la causa del rimbecillimento generale a cui stiamo assistendo. Da quanto risulta dalle ricerche sembra, corrigetemi se sbaglio, che sia valida la seconda ipotesi.

Del resto la mia esperienza personale sembra confermarlo in pieno. Ho avuto la straordinaria fortuna di essere nato da un matrimonio misto e dunque di avere imparato dalla culla due lingue, lo sloveno e il dialetto triestino di matrice veneta. Anche qui piccola parentesi: il fatto di avere parlato solamente triestino con mia madre e con tutta la parentela di parte materna (cinque zii e sette cugini, per dire) è stato per me fondamentale per imparare l’italiano letterario in modo corretto, come una lingua appresa al di fuori dal contesto familiare e dunque come una lingua a parte. Questo fatto ha avuto la decisiva conseguenza che ho creato nella mia mente una specie di scatola dedicata solamente all’italiano, per cui quando parlo in questa lingua si attivano, come dire, connessioni mentali che si riferiscono esclusivamente all’italiano senza alcuna contaminazione da parte di costruzioni dialettali tipiche del triestino. E viceversa, quando parlo in dialetto, parlo triestino “vero”. Secondo me in Italia esattamente tutti dovrebbero fare così, e cioè parlare nel dialetto più stretto possibile con i propri figli (aneddoto con mia madre: in filovia la signora dietro di lei chiede: “Signora, la scendi alla prossima?” “No signora, mi smonto!”) perché possano imparare l’italiano come lingua a parte e dunque tenendo benissimo in mente la differenza che c’è fra quanto si parla in casa e quello che invece si sente in TV, si legge sui giornaletti o si parla a scuola. So benissimo che ogni volta che ho proposto in Italia questa cosa a futuri genitori sono stato guardato come se venissi da Marte e dunque non insisto mai. In una famiglia di un paese monolingue non esiste proprio la percezione che alla nascita uno possa imparare naturalmente più lingue (dicono che nel cervello dei bambini ci sia lo spazio per imparare ben otto lingue diverse senza alcun problema) e dunque anche gente non istruita si sforza di parlare ai propri bambini in italiano creando così una confusione incredibile nella loro testa che li fa crescere linguisticamente a caso, finendo né carne né pesce. Guarda caso le persone in Italia più aperte, intelligenti e soprattutto capaci di parlare un italiano perfetto nascono proprio dove i dialetti locali sono radicati in modo profondo per ovvie radici storiche, penso principalmente alla Campania ed alla Sicilia (vorrei tanto poter dire lo stesso per il Friuli, ma dalla mia esperienza mi sembra di poter dire che ormai anche in Friuli si stia perdendo in modo sciagurato e irreparabile l’abitudine di parlare ai propri bambini in lingua friulana). Per me la correlazione fra le straordinarie capacità letterarie delle genti di quelle regioni ed il fatto di avere parlato in dialetto da piccoli è lampante, anche se non ho sentito da nessuna parte nessuno che lo rimarcasse. Secondo me quelli che in Italia hanno ancora la fortuna di padroneggiare in modo corretto il proprio dialetto (e sono, ahimè, sempre di meno) dovrebbero parlarlo obbligatoriamente ai propri figli, sempre e senza se e senza ma, lasciando che l’italiano lo imparino automaticamente in modo autonomo, primo per preservare il dialetto con tutte le conseguenze culturali che ciò comporta, ma soprattutto per far sì che i propri figli crescano più aperti e soprattutto ricettivi per poter imparare altre lingue in modo facile e corretto, una volta acquisito il meccanismo per il quale ogni nuova lingua ha la sua scatola mentale particolare che impedisce contaminazioni e in definitiva confusione.

Tornando al mio caso il fatto di avere imparato dalla nascita anche lo sloveno è stato un bonus enorme in più. Lo sloveno è una lingua del ceppo slavo, con tutta una serie di differenze strutturali gigantesche rispetto alle lingue del ceppo neolatino, e in più è forse la lingua slava che meno si è evoluta rispetto allo slavo primigenio e ciò per ovvie ragioni storiche, essendo stata da sempre una lingua parlata dal popolo e mai dalle elite. E infatti si è evoluta molto di più nel secolo scorso, quando è divenuta anche lingua ufficiale e parlata dalle elite urbane, di quanto non si fosse evoluta nei 1500 anni precedenti. Dicevo delle differenze, che sono enormi soprattutto nella sintassi e nelle forme verbali. Le lingue slave usano moltissimo le forme verbali, per cui da una parte le coniugazioni sono state enormemente semplificate, non esistono per esempio né l’imperfetto (ad essere precisi non esiste passato remoto, perché il passato unico si costruisce come nell’imperfetto italiano con il verbo ausiliario essere e il participio passato) né il trapassato e il futuro anteriore, se non nelle forme auliche, e soprattutto non esiste la consecutio temporum (“Io dissi che andrò”), mentre dall’altra parte questa semplificazione della sintassi ha fatto sì che i verbi stessi siano molto più precisi nei loro significati rispetto a quanto accade nelle lingue latine. Per dire il caso più significativo fra i tantissimi: esistono forme diverse per la stessa azione che corrispondono al fatto che un’azione sia stata eseguita una volta sola o che si ripeta nel tempo: “Sem ga videl” in sloveno vuol dire l’ho visto, “Sem ga videval” vuol dire invece lo vedevo di tanto in tanto. Per non dire delle varie preposizioni che si antepongono al verbo per fargli assumere significati estremamente precisi. Per esempio costruendo sul verbo “iti”, andare, “zaiti”, letteralmente andare dietro, vuol dire sbagliare direzione, perdere la retta via, “obiti”, letteralmente andare accanto, vuol dire glissare, sorvolare, “preiti”, letteralmente andare oltre, vuol dire superare, passare ad altro argomento, eccetera con tantissime altre preposizioni che attaccate al verbo ne fanno ogni volta cambiare significato con grande precisione concettuale.

Come si può capire passare dalla scatola mentale italiana a quella del tutto diversa dello sloveno è un’impresa difficilissima e infatti, per quanto mi sia per tutta la vita sforzato di riuscirci, non ci sono mai riuscito in pieno, come del resto succede regolarmente per tutti noi sloveni nati e cresciuti in Italia che proprio per le nostre costruzioni delle frasi che inevitabilmente hanno come base l’italiano siamo immediatamente riconosciuti in Slovenia come inguaribili zoticoni di provincia. Cosa che ha le sue gravissime conseguenze anche politiche per la percezione che hanno di noi come sloveni di secondo ordine, visto che parliamo una lingua che loro faticano a riconoscere, nel senso che le parole sono magari anche giuste, ma dal loro punto di vista messe assieme in modo bizzarro.

La cosa però importante in tutto questo discorso è che, pur non riuscendo a superare il problema, ne abbiamo netta percezione, e dunque sappiamo che esiste. Il che è un vantaggio enorme che abbiamo rispetto a tutti quelli che dalla nascita parlano una lingua sola, perché ci da tutti gli strumenti per capire come fare per imparare un’altra lingua, non solo, ma conoscendo sia come sono fatte le lingue latine che le lingue slave abbiamo molta più facilità nel trovare i paragoni giusti con ogni nuova lingua che dobbiamo affrontare. In più noi a Trieste abbiamo per ovvie ragioni storiche una notevole infarinatura di tedesco (come sapete quasi mezza mia famiglia è legata in qualche modo a Vienna), per non parlare dell’inglese che si impara a scuola e che si parla nel mondo per farsi capire, il che porta anche a conoscere come sono fatte le lingue di ceppo germanico. Dunque noi sloveni di Trieste abbiamo inevitabilmente da questo punto di vista una marcia in più, mi dispiace, ma è così, non ne abbiamo alcun merito, ma abbiamo avuto la straordinaria fortuna di nascere nel posto giusto. Quando parliamo fra di noi abbiamo la naturale capacità di trovare sempre, o scavando nell’italiano o nello sloveno, la parola giusta che rende il concetto che vogliamo esprimere e, visto che siamo bilingui, non c’è alcun problema nel parlare in una lingua mista che tutti capiamo. Per non parlare di termini dialettali triestini intraducibili e unici (“boba”, “verta”, “spuzza de freschin”), oppure di termini serbo-croati entrati nel linguaggio comune grazie alla presenza storica della Jugoslavia, come gužva, inat (per favore Edoardo o Vladan la traduzione), ma soprattutto “frka”, sostantivo totalmente unico che si potrebbe descrivere in italiano come “attività frenetica venata da crescente panico”, tutto ciò in una parola sola di quattro lettere.

Se dunque la capacità di esprimere i concetti in modo preciso scegliendo di volta in volta la parola che meglio lo esprime è un modo di sviluppare l’intelligenza, noi, che possiamo scegliere fra almeno due lingue diverse con ciò raddoppiando la possibilità di scelta, abbiamo molta più opportunità di sviluppare in modo migliore la nostra intelligenza innata e dunque di portarla ai massimi livelli possibili dati dal corredo genetico. Secondo me non è poco, ma come detto presume che si sia padroni delle lingue che si usano e dunque bisogna avere comunque una corretta istruzione di base. Qui ovviamente casca l’asino, perché conoscere male più lingue fa solamente aumentare il casino che si ha in testa, anche se sono convinto che sia meglio il casino, che presuppone comunque la presenza di qualcosa, che non il vuoto pneumatico.

Cioè quello che ha in testa Donald Trump (domanda filosofica: il vuoto può costituire presenza? Come fa a essere presente un vuoto? Sapete forse le risposte?), perché solamente una congenita imbecillità sommata ad un totalmente assente qualsiasi tipo di cultura che non sia quella della furbizia nel fare soldi (cosa tipicamente americana: sono ignoranti totali delle cose del mondo, ma come fare i soldi, che sono quelli che a loro danno l’unica essenza della vita che conoscono, quello lo sanno fare benissimo), può fargli profferire le cazzate a tamburo battente che spara di continuo. Certo, è un perfetto esempio dell’americano medio e dunque ha il suo appeal e penso che, visto quello che fanno e dicono attualmente gli americani che mi sembrano sempre più fuori di testa e dal mondo, vincerà di nuovo visto anche chi ha davanti come avversario (forza Kamala! Sei tutto me! Scusate, pensavo a alta voce). Ciò non toglie però che è assolutamente comprensibile come qualsiasi americano normale, neanche intelligente, sarebbe pretendere troppo, abbia un attacco di itterizia solo nel vedere alla Casa Bianca un elemento simile. Che pertanto tutti i media, nei quali per principio agiscono persone che sanno almeno leggere e scrivere, siano contrari a Trump mi sembra solo normale e fisiologico, anzi, mi sembra ributtante che nel nome dei soldi ci sia qualcuno che, pur sapendo leggere e scrivere, lo sostenga.

Io sono fortemente razzista nei confronti degli imbecilli che dovrebbero essere banditi da qualsiasi attività pubblica, anche se so perfettamente, come disse De Gaulle, che eliminare dal mondo gli imbecilli è un’impresa assolutamente impossibile, anche per lui che si vantava di riuscire a fare miracoli. Trump è un perfetto imbecille e dunque dovrebbe essere bandito da ogni attività sociale. Per cui, per favore, almeno su questo blog, non abbiate più l’ardire di difenderlo. Basta!!!