Mi rifaccio vivo dopo essermi divertito a leggere i vostri commenti che spaziavano un po’ da tutte le parti con un continuo crescendo degli scambi sempre più frequenti e, seppur temperati dalla buona educazione, sempre più sostanzialmente aggressivi fra Edoardo e Stefano. Volevo vedere fin dove vi spingevate e intervengo adesso che avete, secondo me, fatto anche qualcosina fuori dal vaso. Ragazzi, vi voglio bene, e Stefano lo sa, perché è già da una decina di anni che ci troviamo alle sconvenscion dove andiamo tutti d’amore e più che d’accordo, ma mettetevi nei miei panni. Se scrivete solo voi, ogni volta dilungandovi sempre di più su quanto volete dire, poi non resta spazio a tutti gli altri che vorrei sentire, non solo, ma anche quello che vorrebbe scrivere poi non lo fa, visto che è inutile. Non si tratta del merito (nel quale sono al 100% dalla parte di Stefano, ovviamente – tanto per dire, Edoardo, per me Bolsonaro e Orban sono fascisti a tutto tondo e senza virgolette, e Biden sta facendo miracoli dopo aver trovato alla casa Bianca terra bruciata senza uno straccio di piano a livello federale anti-Covid ed aver dovuto mettere in piedi in fretta e furia uno tutto suo, per non parlare di uno dei suoi primi interventi che è stato quello di fermare i lavori del muro della vergogna – già per solo questo merita rispetto e gratitudine), ma proprio della forma. Per cui per favore date un po’ di spazio anche agli altri. Ora sarebbe ora di parlare anche un po’ di basket o magari di sport in genere.

Lo spunto per parlare di basket viene proprio dal canestro di Teodosić contro Candi con giro della palla attorno al corpo dell'avversario. Che Stefano stia un tantino facendola fuori dal vaso mi è stato confermato dalla sua secondo me abbastanza risibile chiosa sul fatto che girare la palla attorno al corpo dell'avversario sarebbe un'invasione del suo cilindro, punibile in caso di contatto. Argomento questo secondo me da leguleio di infimo ordine a caccia di improbabili cavilli che va a vanificare uno dei trucchi più magnifici e immaginifici del basket alla jugoslava che in pochi istanti racchiude tutta la filosofia del basket che si praticava da quelle parti: segnare un facile canestro senza fare la minima fatica e nel contempo umiliare fino al midollo l’avversario. A proposito, il fatto che poi Candi sia andato a dargli la mano e a complimentarsi dimostra quanto la gioventù di oggidì sia diversa da quella a cui ero abituato io. Ai miei tempi una finta e un canestro subiti come quello sarebbe stata coronata da uno scambio di poco amichevoli convenevoli, se non in una caccia all’uomo senza limiti. Con ovvio corollario del divertimento aggiuntivo per il pubblico.

Ma la cosa che più mi ha meravigliato in questa vicenda è il polverone che ha sollevato, anche su questo blog. Mi sembra sia stato Franz a scrivere che è stato il più bel canestro da lui mai visto. E a me è venuto un magone abbastanza inatteso, in quanto mi sono accorto come anche fra i più attenti la memoria storica stia scomparendo in modo ineluttabile, con ciò cancellando tutta un’eredità formidabile di conoscenza cestistica. Non solo, ma mi ha fatto improvvisamente risvegliato tutta una serie di struggenti ricordi della mia gioventù.

Penso fosse il 1962 e dunque avevo qualcosa come 12 anni quando andai, non mi ricordo con chi, a vedere un torneo amichevole che si giocava sul mitico campo all’aperto del Ferroviario in Viale Miramare (per i triestini, non c’era ancora il tetto) con ospite una ampiamente ringiovanita Olimpija di Lubiana. E allora vidi per la prima volta un piccolo biondino dall'apparenza innocua che però faceva con la palla cose assolutamente mai viste prima. All'epoca aveva 18 anni e il suo nome era Borut Bassin, lo seppi dopo quando mi informai chi fosse, visto che mi aveva stregato già al suo primo contatto con la palla. Semplicemente faceva ogni volta qualcosa di totalmente inatteso che non si riusciva a capire come potesse essergli venuto in mente. E non parlo di abilità tecnica nel trattamento di palla, anche se pure in questo campo non aveva da prendere lezioni proprio da nessuno, ma proprio di cosa ne faceva con abilità di prestigiatore. Come un prestigiatore ti ammaliava con gli occhi e ti fregava con le mani, nel senso che praticava finte "vere”, cioè le finte più micidiali, quelle che riescono per sbaglio quando si vuole fare tutta un’altra cosa. E che traggono in inganno l’avversario proprio perché fatte con convinzione. Il suo repertorio di base era fondato su un linguaggio del corpo totalmente fuorviante da mimo di altissima classe che ti faceva credere fermamente che quello che lui voleva fare era tutt’altra cosa di quello che avrebbe poi fatto. E per far ciò era fondamentale che l’avversario guardasse da tutt’altra parte mentre tu approfittavi di quel brevissimo istante per segnargli il più facile e umiliante dei canestri. Quando era ormai alla fine della carriera venne di nuovo a Trieste a giocare da ospite un’amichevole alla palestra di Monte Cengio (triestini, ricordate?). Parte il contropiede classico 2 contro 1 con Taubi (questo era il soprannome con il quale Bassin era popolarissimo in tutta la Jugoslavia) che palleggia. Arriva poco sotto la linea del tiro libero, fa un ostentato arresto a un tempo e un passaggio a due mani verso il compagno di contropiede. Il difensore vola ovviamente per intercettare il passaggio, solo che il passaggio proprio non c’è. Taubi si era messo la palla fra le ginocchia prima di fintare il passaggio (Stefano, va bene, sarebbe infrazione, ma per carità!...) e mentre l'avversario è ancora in volo raccoglie con estrema lentezza il pallone, fa un lentissimo passo in avanti e segna in sottomano a due mani senza neanche saltare. Standing ovation per cinque minuti e l'avversario volante che praticamente si vede stroncata sul nascere una promettente carriera.

Di cose simili in carriera ne ha fatte millanta e la gente si accalcava al Tivoli solo per vedere cosa si sarebbe inventato quel giorno. Ovviamente il giro del pallone attorno al corpo o addirittura fra le gambe dell’avversario, se questo era un lungo (Taubi arrivava a malapena al metro e 80), per poi segnare un canestro facile dall’altra parte rispetto a dove aveva indirizzato lo sguardo del marcatore era fra i suoi trucchi di base e tutti noi ragazzini che lo adoravamo provavamo nelle nostre partitelle a copiarlo. Incredibilmente la finta Teodosić, proprio come l’ha fatta lui, cioè concludendo con la mano sinistra, era la mia giocata preferita, essendo io mancino naturale spostato a destra che sotto canestro preferiva di gran lunga concludere con la mano abile piuttosto che con quella forte.

Ora vedere che quello che facevo io nelle partitelle copiando Bassin sembra un’incredibile invenzione mai vista prima, come detto, mi fa venire un gran magone. Ma è possibile, mi dico, che non esista un minimo di memoria storica sulla quale costruire nuove cose senza dover inventare ogni volta di nuovo l’acqua calda solo perché si è ignoranti? Sembra proprio di sì.

Per inciso su Bassin si potrebbe scrivere un libro. Lui e altre due leggende dello sport lubianese, il calciatore Brane Oblak e il portiere di hockey Tone Gale, formavano un trio che è entrato nelle leggende metropolitane lubianesi all time. Si racconta di come dopo un bagno notturno in spiaggia si fossero presentati nudi e bagnati all’ingresso nel night club più esclusivo di Portorose, si racconta di uno scherzo crudele perpetrato ai danni di un compagno di squadra di Taubi antipatico che era riuscito a permettersi di comprare in valuta un’auto straniera con la quale si vantava di scorrazzare a piacimento per la città. Una sera gli dissero: “Guarda che stasera sul ponte di Brezovica (alla fine di un lungo rettilineo della vecchia statale) c’è una pattuglia di poliziotti, amici nostri che abbiamo già avvertito, dotati di radar. Tu lancia la macchina al massimo, loro ti misureranno la velocità, così noi potremo finalmente sapere se quanto affermi su quanto corra la tua macchina è vero.” Detto fatto. Ovviamente i poliziotti non avevano la più pallida idea di cosa stesse succedendo e furono molto meravigliati (prima di passare alle vie di fatto – ricordo che i poliziotti dei regimi comunisti avevano molto poco senso dell’umorismo) quando l’uomo uscì dalla macchina serafico chiedendo loro: “Allora, a quanto andavo? Corre, eh?”.

Io fra l’altro ho avuto anche la fortuna di conoscerlo bene. Nel 1971 frequentai il corso di base per allenatore al centro federale estivo della Federbasket slovena a Sezza presso Portorose e miei compagni di corso furono quattro giocatori della prima squadra dell’Olimpija (tutti i giocatori della prima squadra dovevano all’epoca – tempi fortunati e illuminati – completare il corso base di allenatore), fra i quali proprio Bassin e il nazionale jugoslavo campione del mondo Aljoša Žorga. Per una settimana dunque ci giocai contro nelle partitelle post lezione e scoprii una persona modesta e squisita, un vero e proprio buontempone in compagnia del quale il tempo volava. Ora, molto caratteristicamente per lui, vive praticamente da eremita in un capanno in montagna cibandosi delle trote che pesca nel vicino ruscello.

L’altro argomento del momento è chiaramente Tom Brady. Che per me rimane un mistero insolubile che, per quanto mi sforzi di tentare di entrare nella sua testa, mai mi sarà dato risolvere. Ora: questo qua era stato una seconda scelta, dunque le volpi che imperversano nel basket americano non sono evidentemente limitate solamente a quello sport, ma si ramificano un po’ dappertutto, ma grazie ad un’intelligenza spaziale e a un lavoro assiduo e feroce è riuscito a diventare non solo qualcuno, ma una vera e propria leggenda approdando a nove Superbowl e vincendone sei. Nel frattempo frequenta e poi si mette con lei alla fine sposandola ed avendo con lei due figli, dunque si crea una bella famiglia, nientemeno che una delle gnocche più favolose che ci siano al mondo in quel momento, una che fra l’altro non ha alcun bisogno di legarsi a un ricco e famoso personaggio visto che da sola vale un patrimonio di qualcosa come oltre 350 milioni di dollari, e dunque la loro unione esula da qualsiasi ragionamento economico, cosa fondamentale per capire di che tipo di relazione si tratti. Ha dunque tutto quello che si può sperare di avere in una vita e uno si immagina che a questo punto possa tranquillamente rifugiarsi in una meravigliosa e dorata pensione, lunghissima fra l’altro, visto che a 43 anni si è ancora molto giovani per la vita che deve ancora essere vissuta. E invece litiga con uno degli allenatori più carismatici che ci siano, sbatte la porta, prende con sé due dei compagni più fidati e ricomincia tutto da capo andando in Florida. Sembra un patetico tentativo di rinviare l’inevitabile e invece finisce la stagione portando la sua squadraccia (in termini relativi, pensando alle chance di titolo che poteva avere prima del suo arrivo) nientemeno che al Superbowl da giocarsi in casa (dopo aver vinto tutte le partite precedenti in trasferta), lo vince, ridicolizza il quarteback avversario che sembrava e veniva descritto come un fenomeno e vince l’ennesimo titolo di MVP del Superbowl. Ma da dove può una persona trarre le motivazioni per fare cose del genere? Ci vorrebbe un consesso di veri psicologi (i veri psicologi sono quei pochissimi fra tutti gli psicologi che studiano la materia per risolvere i problemi degli altri e non i propri) per trovare una spiegazione che non so neanche se esiste. Personalmente penso che Brady sia una persona come era Dražen Petrović, uno che per ragioni misteriose riusciva ad esprimersi solamente su un campo di basket, uno che ha concentrato tutto il suo essere sulla sua passione sportiva, diventata nel tempo una vera e propria ossessione, tanto da dare l’impressione, visto quanto faceva in campo, di essere un vero grande stronzo, mentre era invece fuori dal basket la persona più mite, tranquilla ed educata che ci potesse essere. Chiaramente tiro a indovinare, ma qualcosa di misterioso e inspiegabile deve esserci perché a qualcuno di noi sia dato questo dono di eccellere in modo del tutto inspiegabile in quello che fa. Del resto ci sono tantissimi esempi di ciò anche nel campo delle arti, di tutte le arti, dunque il fenomeno esiste ed è un fenomeno che mi affascina in modo quasi morboso proprio perché, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a capire da cosa possa dipendere.