Piccolo intermezzo. Fate conto che sia un mio intervento sul blog di un altro a mo’ di risposta a quanto affermato o chiesto da un altro frequentatore. Era da tempo che dovevo una risposta a Roda in merito al perché e per come un animo libertario come il sottoscritto possa fare il tifo per la squadra di calcio espressione del più bieco potere capitalista. Stavo preparando la mia risposta con puntiglio, perché tutto volevo meno che andarci leggero o addirittura scusarmi come qualcuno forse pensava che avrei fatto. Tipo: sapete, il calcio è una questione di emozioni, non c’entra con il pensiero politico…e balle del genere. E proprio mentre mi preparo leggo quanto scritto da Boki (a proposito, cosa intendevi per progetto sullo sport zaratino?). Caro Boki: adesso siamo 1 a 1, palla al centro e ricominciamo. Nel senso che tempo fa citai un passo del libro di Ćosić traducendolo dalla sua autobiografia che mi regalasti alla sconvenscion di Borgo Grotta Gigante e tu mi rimproverasti per averti rubato il lavoro di traduzione che stavi cominciando a fare. Ora siamo pari, perché tu hai scritto esattamente, parola per parola quasi, quanto volevo scrivere io. L’ultimo paragrafo poi è apoteosi pura, nel senso che tutti i vari cacciaballe di tifosi delle altre squadre, dopo aver letto quanto scrivi, potrebbero benissimo mettersi la lingua in quel preciso posto e tacere in merito per i secoli dei secoli.

Scherzo ovviamente sulla mia presunta rabbia per il lavoro scippato e va da sé dunque che alla prossima sconvenscion Boki avrà almeno un giro di bevanda gratis da parte del sottoscritto come pure la avrà Pado per aver, unico a mio avviso, capito cosa volevo veramente dire nel post di due volte fa. Solo che lui ha detto in due parole molto chiaramente una cosa che io ho tentato di spiegare in lungo e in largo non riuscendovi. Vittoria sua per getto della spugna.

La sostanza del mio commento la trovate nei punti enumerati da Boki ai quali non ho da aggiungere né togliere una sola virgola, in quanto, come detto, è esattamente quello che volevo scrivere io. Da parte mia aggiungo solamente la mia personale iniziazione al tifo per la Juve e alcune aggiunte e considerazioni.

Come sapete sono del 1950 e, avendo un padre, come sapete quelli che avete letto la storia della mia famiglia, che era un grande appassionato di sport e che di domenica mattina mi portava per i vari campi di calcio a vedere le partite delle squadre minori, mi sono appassionato di sport già alla mia più tenera età possibile. A sei anni seguii alla radio con passione e mangiandomi le unghie la radiocronaca della famosa tappa del Giro che finì sul Bondone nella bufera invernale più tremenda e che vide alla fine la vittoria nella tappa e nel Giro di Charlie Gaul che io adoravo, primo, perché era piccolo e magro, e poi perché era lussemburghese, rappresentava cioè un Paese lillipuziano che sfidava e batteva tutti i rappresentanti dei Paesi più grandi e potenti. E io, da buon sloveno di Trieste, ho nel patrimonio genetico la più totale simpatia nei confronti dei più piccoli e indifesi, in qualsiasi campo possibile. L’anno dopo lo zio Bruno (altro riferimento alla storia di famiglia) mi portò sulla sua Vespa (senza casco! – allora non si usava) a vedere a Valmaura la partita decisiva giocata dalla Triestina contro il Venezia per andare in Serie A, partita che seguii abbarbicato alla rete divisoria fra la curva sud (quella attaccata adesso al Palasport) e i distinti. Vincemmo 3 a 1, venimmo promossi in A e io godetti in modo totale. Fra l’altro era una Triestina fortissima, basti dire che a centrocampo c’erano due giocatori come Mazzero e Puia che poi fecero un’ottima carriera in Serie A, ma soprattutto la coppia d’attacco era formata da Milani, poi centravanti dell’Inter bi-campione d’Europa, e Petris, unico giocatore della storia a giocare in Nazionale pur appartenendo a una squadra di Serie B, poi anche lui autore di una buonissima carriera nella Fiorentina.

Va da sé che il calcio fosse allora, assieme al ciclismo, lo sport che più mi appassionava e seguivo con estremo interesse quanto succedeva nel Campionato. Come accade a tutti ovviamente accadde anche a me di cominciare a fare il tifo per una squadra. All’epoca c’era il grande Milan del trio svedese Gre-No-Li, che per rinforzarsi prese il centravanti di riserva del Brasile Campione del mondo José Altafini detto Mazzola, c’era l’Inter di Nacka Skoglund che prese dall’Argentina un fortissimo bomber, anche lui di origini italiane, Angelillo, insomma c’erano questi squadroni milanesi che all’epoca dominavano. Inoltre nel 1956 il Campionato lo vinse la Fiorentina di Hamrin, Virgili, Montuori e Lojacono, altra squadra fortissima, mentre le squadre romane all’epoca (solo allora?) facevano pena e non le consideravo neppure. E c’era la Juventus, squadra dalle maglie bellissime che già da sole facevano venire la voglia di fare il tifo per lei, che era di Torino (e dunque non della capitale morale, come si usava dire, ma soprattutto finanziaria e di vero potere, ragione questa che bastava e mi basta ancora per non fare mai il tifo per una delle loro squadre, proprio per scelta ideologica a prescindere – e infatti, per dire, nel basket facevo un tifo sfegatato per l’Ignis, magari per la Virtus, bastava che battessero il Simmenthal), che aveva avuto un glorioso passato con il famoso quinquennio, di cui lessi tutto il possibile fantasticando sulla famosa formazione: Combi, Rosetta, Calligaris…, ma che dopo la guerra era stata prima ridicolizzata dal grande Torino e poi era stata praticamente brutalizzata, salvo qualche breve parentesi, dallo strapotere delle milanesi. Fare il tifo per la Juve divenne naturale e logico, soprattutto quando lessi che per cifre enormi (aveva dietro la Fiat, vero: e allora? Non è che le milanesi spendessero meno per i loro acquisti) aveva preso due giocatori che avrebbero dovuto invertire la tendenza alle perpetue batoste. Il più costoso era un altro argentino, Omar Sivori, grande genio del dribbling e delle giocate spettacolari, nonché dotato di straordinaria tecnica, mentre per il centro dell’attacco era stato preso il gallese John Charles. Gallese, dunque appartenente a un popolo piccolo e sottomesso dagli inglesi. Va da sé che divenne immediatamente il mio idolo. Guarda caso la Juve, grazie a questi due, a una difesa fortissima, nella quale giocava un altro della mia famosa Triestina, Castano, e a un tornante padovano di nome Nicolé che faceva benissimo coppia con l’icona stessa della squadra Giampiero Boniperti, vinse lo scudetto mandandomi al settimo cielo. Ricordo solo di sfuggita che all’epoca la Juventus aveva sì il record di scudetti vinti, grazie appunto al famoso quinquennio, ma non aveva ancora conquistato neppure la prima delle quasi quattro stelle che ha adesso, e dunque era percepita sì come una grande Società, ma non aveva certamente l’aura da cannibale che le hanno poi cucito addosso, per pura invidia suppongo. Non posso io, perché allora lo possono gli altri? Devono imbrogliare per forza. Solito ragionamento da impotenti.

Sui presunti favori arbitrali ha detto tutto Boki, per cui non ho nulla da aggiungere. Faccio solo un paio di considerazioni: l’Italia Mondiale dell’ ’82 aveva in squadra sei juventini, che sarebbero stati sette con Bettega, la quale Juventus poi prese Platini (per due lire! – lo si dimentica sempre) e Boniek. Sicuri che una squadra con giocatori del genere avesse bisogno di aiutini? La finale del Mondiale del 2006 aveva nelle due squadre in campo Buffon, Thuram, Zambrotta, Cannavaro (giocatore sottratto anche lui per poche lire all’Inter, poi Pallone d’oro), cioè la difesa della Juve, a centrocampo c’era Camoranesi, in attacco Trezeguet con Del Piero subentrato, insomma della Juve praticamente quella finale non la giocò solamente un cesso quale Zlatan Ibrahimović perché era svedese. Non mi sembra che la Juve fosse proprio scarsa, insomma, tanto scarsa da dover ricattare e corrompere gli arbitri per vincere lo scudetto, anzi due che poi le furono scippati, qui lo dico, lo confermo e continuerò a farlo senza abiurare neanche sotto la più terribile delle torture.

Il capitolo Moggi l’ha già sfiorato Boki, per cui vorrei solamente completare il discorso. Chissà come divenne un criminale incallito solamente quando arrivò alla Juve, mentre prima era stato un manager correttissimo e esemplare. Ma c’è veramente qualcuno dotato di un minimo di senno che possa prendere per vera una balla del genere? Prima parlavo di Zlatan e c’è un aneddoto che mi è stato riferito, ma che ritengo più che verosimile. Quando arrivò alla Juve Capello lui volle a tutti i costi che la squadra prendesse dall’Ajax il giovanissimo asso bosniaco di passaporto svedese per il quale stravedeva. Facile a dirsi, difficile a farsi, perché tutto quanto veniva fatto dalla Juve era oggetto di un meticoloso lavoro di spionaggio da parte delle altre squadre italiane e, se la Juve avesse palesato interesse per Ibrahimović, si sarebbe scatenata un’asta micidiale con il prezzo che sarebbe salito alle stelle. E allora Moggi si inventò un interesse del tutto fasullo per una punta brasiliana di nome e origine ungherese (non mi ricordo il nome) che giocava in Germania, penso nello Stoccarda, spargendo artatamente voci “confidenziali” che la Juve stava per chiudere l’affare. Ovviamente i falchi delle altre Società si recarono in massa in Germania per seguire il bersaglio della Juve per tentare di sottrarglielo, e ciò permise a Moggi stesso di recarsi ad Amsterdam per concludere indisturbato l’affare Ibrahimović.

In definitiva Moggi era semplicemente il maschio alfa degli squali che facevano il bello e il cattivo tempo nel calcio italiano di vertice. Fino a che si limitava a lavorare in club senza le capacità economiche delle grandi poteva ancora essere tollerato, ma quando passò proprio al club di riferimento in tutti i sensi squilibrò tutto il sistema. Il più bravo e spregiudicato al timone della Società più ricca e potente. Impossibile da tollerare. In ogni sistema di tipo, diciamo così, “massonico”, ci sono equilibri sottilissimi che fanno andare avanti la baracca e nessuno può permettersi di scompigliarli. E infatti il sistema si coalizzò e gliela fece pagare scatenando tutti i cannoni e i bazooka che aveva, primo fra tutti quello della stampa asservita, concentrata nella famosa capitale morale, ma anche in quella istituzionale che aveva all’epoca due squadre molto competitive. A trarne il massimo vantaggio fu ovviamente chi aveva per primo scatenato la bufera, leggi l’Inter che infatti, da quel momento, odio con tutto il cuore più ancora di quanto la odiassi prima, dai tempi degli anni ’60, quelli di Moratti padre che in fatto di squali non era veramente secondo a nessuno. Ricordate a esempio che l’Inter riuscì nell’impresa di ribaltare un 1 a 7 subito vergognosamente a Moenchengladbach con la ridicola storia di una lattina che avrebbe colpito Boninsegna? Tanto da arrivare addirittura alla finale di Coppa Campioni dove trovò per fortuna mia e della giustizia calcistica l’Ajax di Cruijff.

Insomma, perché sono juventino? Perché sì, e ne sono orgoglioso.