Ho visto anch’io le prime due partite di Milano contro il Bayern e, se mi permettete, vorrei dire la mia in merito. Ho un’enorme stima per Trinchieri, maturata durante l’intervista che gli feci a Lubiana già quasi una decina di anni fa e nella quale espose concetti e pensieri molto acuti che mi impressionarono in modo estremamente favorevole. Ciò detto, e ribadito e sottolineato che ci sono pochissime persone in questo momento in Europa (al mondo? – visto il coaching che c’è nell’NBA verrebbe da dire subito di sì – anche perché nell’NBA il concetto di coach nel senso etimologico della parola, cioè di guida e timoniere, si è in questi anni completamente perso) che ci capiscono più di basket rispetto a lui, e testimone ne è il fatto che nelle sue squadre c’è ben poca gente che non siano giocatori veri di basket, per quanto poco possano costare, la prima partita è riuscito incredibilmente a perderla lui dopo averla stravinta in fase di preparazione e piano partita, eseguito in modo straordinario per più di un tempo, salvo poi andarsi e perdere in modo inatteso, forse sopraffatto dall’importanza del momento, fino a finire nel panico e nella confusione più totale che si è palesata negli allucinanti ultimi minuti della partita, giocata da ambedue le squadre sostanzialmente a chi fa meno.

Che anche Milano fosse nella nebbia più totale ne è testimone inoppugnabile il fatto che, tolti i lampi del Chacho e tolta la presenza della mente più pensante e decisiva che Milano abbia, cioè Hines (scusate la brutalità, ma la mia netta impressione è che senza Hines in campo la squadra sia sostanzialmente senza cervello), la partita è rimasta sostanzialmente in bilico malgrado il Bayern facesse di tutto e di più per perderla in modo pervicacemente sempre più perverso. Inutile nasconderlo: facevo il tifo per i tedeschi, per tutta una serie di ragioni, la prima delle quali era proprio Trinchieri, per il quale faccio il tifo a prescindere chi alleni, poi perché sono contento che ci giochi Žan Mark Šiško, ragazzo che ho seguito con molto interesse quando giocava a Capodistria, portandola, lo ricordo, a due titoli sloveni consecutivi dopo aver asfaltato l’Olimpija e a stravincere la Lega Adriatica B, che non sarà certamente né Daneu né Zdovc, ma che è comunque un play vero di vecchia scuola, e infine perché faccio sempre il tifo per chi ha il budget inferiore fra le due squadre che si affrontano. Negli ultimi minuti non credevo ai miei occhi per lo scempio che si stava consumando sotto gli occhi sempre più stralunati di Trinchieri. La palla ce l’aveva sempre un tale Baldwin IV, un imbecille assoluto, totale e irredimibile, che faceva tutto da solo andando a cacciarsi in situazioni assurde e perdendo in continuazione la palla. Per tutta la partita un talaltro Seeley aveva imbucato da tutte le parti. Dov’era? E perché la palla non ce l’avevano mai né Šiško né Lučić, gli unici due che sembravano aver ancora la testa al suo posto legittimo? Guarda caso sull’ultima (anzi, penultima, visto a posteriori) azione casualmente la palla ce l’ha avuta proprio Šiško che ha trovato Gist per i due tiri liberi che avevano, malgrado tutto, vinto la partita. Infatti per me è assiomatico che, se difendo in modo umano, in un secondo e due decimi non posso materialmente prendere un canestro, a meno che uno non mi segni un gancio da metà campo, evenienza che ha attorno allo 0 virgola percento di verificarsi. Un secondo e due decimi significa che è materialmente impossibile che chi rimette possa segnare lui. Dovrebbe infatti passare la palla, riceverla e poi tirare, cosa che è totalmente impossibile in un simile ridotto lasso di tempo. Mi sembra dunque assolutamente banale e ovvio, e io francamente l’ho fatto di routine negli anni in cui facevo il coach, che, prendendo in considerazione questo fatto inoppugnabile, che cioè sull’ultima rimessa difendo in 5 contro 4, metto quattro uomini a marcare di stretto anticipo i quattro possibili ricevitori, lasciando a chi rimette il solo passaggio lob che copro con il quinto, il libero per l’occasione, il giocatore più capace e sveglio in difesa che ho a disposizione, che piazzo a centro del pitturato per andare a intercettare il lob e per impedire proprio quello che ha fatto Leday, un taglio a canestro di qualche attaccante. Mi sembra, più che semplice, assolutamente stupido. E perché non lo hanno fatto? Ditemelo voi.

Ovviamente il modo assolutamente sciagurato con il quale sono riusciti a perdere garauno ha lasciato il segno nei bavaresi, che hanno cominciato gara due giocando a rovescio con Trinchieri che evidentemente deve aver rimuginato sulle nefandezze perpetrate da lui e dalla sua squadra nel finale di due giorni prima, per cui è apparso completamente suonato all’inizio, oltre che nervoso, cioè fuori controllo, cosa che lo ha poi portato anche a farsi espellere. Comprensibile forse, visto che gli uomini con il fischietto non gli sono stati certamente amichevoli, ma chiaramente non giustificabile in nessun modo. Forse comunque non ha rimuginato bene, visto che ha cominciato la partita perseverando nell’errore capitale già commesso in gara uno, cioè quello di affidare il playmaking al famigerato Baldwin che della cosa è totalmente incapace. Sommando questo al fatto che in due giorni Messina aveva mangiato la foglia ed aveva finalmente messo in piedi un piano partita logico l’inizio della partita è stato imbarazzante, un vero e proprio gioco al massacro, tanto che ho avuto pietà ed ho guardato piuttosto un bellissimo documentario su Rai Storia che parlava dello sviluppo di Londra e New York nel 20-esimo secolo. Quando ho girato nuovamente sulla partita il Bayern, a metà dell’ultimo quarto, era sotto di una decina di punti e dovrete essere voi a spiegarmi se è successo che, dopo l’espulsione di Trinchieri, si sono svegliati loro cominciando a giocare in modo umano, o se invece Milano ha pensato di controllare la partita, cosa nella quale, visti anche i precedenti, non sembrano molto versati. Io infatti mi attendevo a quel punto un meno (almeno) 30 e non certamente ancora un simulacro di partita. Quando poi sul meno otto e palla in mano a fare il salvatore della patria si è messo ancora una volta l’ineffabile Baldwin (quando nei minuti precedenti a fare canestro da lontano ci avevano pensato Lučić e addirittura Zipser, non certamente Durant, per cui secondo ogni logica la palla sarebbe dovuta andare ad uno di loro – e Seeley, dov'era? Aveva cinque falli? Boh) sparando una tripla senza senso che quasi andava a canestro (se avesse segnato sarebbe stata la più grande ingiustizia della storia ed è solo giusto che sia uscita) sono esploso nell'imprecazione finale e ho definitivamente cambiato canale guardando il finale di Napoli-Lazio e il golf su Eurosport2.

A questo punto Milano sembra lanciata verso le Final Four, però le due squadre sono molto vicine per rendimento, per cui, se solo a Monaco il Bayern si ravvede e si rimette a giocare normalmente, potrebbe anche vincere le due partite in casa. Sarà molto difficile, ma Milano deve stare attenta. Soprattutto poi perché in un’eventuale gara cinque a Milano potrebbe succedere di tutto. Ricordo solo che si gioca senza pubblico e dunque il fattore campo è molto relativo.

Lasciatemi ancora dire la mia sulla storia della Superlega di calcio che ha riempito tutte le prime pagine dei giornali non solo sportivi della settimana. A volte mi chiedo in che mondo viva certa gente. Saranno certamente grandi manager, gente capace di generare profitti dal nulla con idee ardite e innovative, ma evidentemente di sport non capiscono un’emerita mazza. Pensare di importare una mentalità americana in un gioco prettamente europeo, popolare che di più non si può, con tradizioni che ormai sono radicate in una vera e propria leggenda storica, come il calcio è semplicemente idiota. Non può reggere, non può essere accettato. Si dimentica sempre la differenza sostanziale che esiste fra America e Europa sul come viene vissuto lo sport di vertice. In America, secondo la logica protestante puritana anglosassone, ipocrita quanto si vuole, ma percepita come reale, lo sport è cosa per dilettanti (ecco il perché più profondo della March Madness – per loro la vera competizione è lì, e non certamente nei ludi dei pro) e dunque i professionisti sono semplicemente gente che ha fatto un patto con il diavolo per fare soldi dando spettacolo. Ragion per cui lo sport professionistico nasce ed è gestito come un’impresa di spettacolo che deve generare profitti, e veramente, e non è una battuta sarcastica, ma la pura verità, fra lo sport professionistico ed un circo non c’è differenza concettuale. Le leghe professionistiche nascono come un’impresa che ha le sue filiali nelle varie città che possono permettersi una franchigia e gestiscono tutta l’ attività in modo strettamente centralizzato e rigido, avendo sempre in mente la ragione unica per la quale la gente può appassionarsi alle partite e a seguire le varie squadre, quella cioè dell’equità competitiva. Che si materializza nelle rigidissime regole del draft e del salary cap. Regole che, se infrante, costano semplicemente la cancellazione della filiale o il suo spostamento in altra sede. Da Minneapolis a Los Angeles, da New Orleans a Salt Lake City, da Vancouver a Memphis, cioè da una città ad un’altra che è per posizione, stile di vita, storia, praticamente su un altro pianeta. Però le squadre continuano a chiamarsi Lakers, o Jazz, o Grizzlies. In definitiva bisogna sempre avere in mente che le squadre delle leghe professionistiche americane sono emanazioni della Lega stessa e null’altro.

In Europa la genesi dello sport è totalmente diversa. Per le varie vicissitudini storiche del nostro continente lo sport è stato sempre percepito come un modo per competere in modo simbolico, ma altamente importante dal punto di vista psicologico e del morale della gente, contro l’avversario di turno, sia a livello di campanile, che di regione, che di popolo o di stato. Mi dispiace per Buck, ma dovrà ammettere anche lui che personificarsi nello sportivo che tiene alta la bandiera della nostra parte, qualsiasi essa sia, sia una parte assolutamente fondamentale del come la gente vive lo sport. Quando vincono i “nostri”, battendo magari l’odiato nemico di quartiere o, ai massimi livelli, i rappresentanti di un popolo che ci sta sulle scatole storicamente per vari motivi, è sempre festa grande. Lo sport è nato dunque come associazionismo spontaneo e ha sempre veicolato significati che travalicavano lo sport stesso. Dalle varie Robur, Fides, attraverso le varie Edera, Libertas o Fiamma, tutte le società hanno sempre avuto nella loro storia un fine che non era solo quello di giocare e competere, ma di tenere alti valori nei quali si volevano educare le giovani generazioni. Da questo humus è solo ovvio che con l’andare del tempo si sia creata una piramide di società più ricche e capaci che hanno cominciato a gareggiare ai massimi livelli. Livelli che hanno fatto sì che gli atleti di vertice, quelli che spostavano equilibri importanti, dovessero, per essere competitivi, diventare professionisti per forza. E per gareggiare in modo organizzato e non caotico le varie società sportive hanno dovuto prima o poi, ciascuna nel suo sport, formare delle leghe a cui delegare l’organizzazione della competizione secondo le regole più logiche possibili che fossero accettabili per tutti. E dunque, attenzione! Da noi e nel resto del mondo che non sia anglosassone, parlo di Africa e America Latina (l’Asia è un fenomeno a parte che non ho ancora capito né mai potrò farlo, viste le stimmate caratteriali impresse in quelle genti da una storia plurimillenaria che si è sviluppata in modo totalmente diverso da come si è sviluppata la nostra, per cui è al di là delle nostre capacità di comprensione secondo i nostri schemi occidentali giudaico-cristiani), le leghe sono emanazioni delle società, cioè esattamente il contrario di quanto succede in America.

Comandano dunque le società e non la Lega, società che hanno come scopo primo e unico quello di vincere. Tutte però. E’ solo normale, genetico quasi, che il sistema su cui si regge tutto è quello per cui uno, se è bravo, può arrivare dal nulla a costruirsi una realtà vincente e a fare la storia. Un Verona o un Leicester che vincono il campionato valgono molto di più di 10 scudetti della Juve o del Liverpool. Sono proprio questi eventi storici che poi entrano nella leggenda che danno da noi il sale, ma soprattutto la decisiva credibilità, a tutta l’attività e non c’è appassionato che possa rinunciarci. Una competizione chiusa a inviti è quanto di più lontano ci sia dal come un appassionato europeo concepisce la competizione sportiva, per cui che i tifosi britannici si sarebbero sollevati in massa era assolutamente normale e stranissimo sarebbe stato se non fosse stato così.

In più questo tipo di organizzazione sportiva, nella quale a comandare sono le società, porta con sé la tremenda conseguenza che non c’è controllo di alcun tipo sul come una società gestisce la sua attività. Concretamente se Paperone vuole comprare una squadra, può farlo impunemente, comprare tutti i giocatori che vuole e vincere quanto vuole, un po’ come faceva Nerone quando voleva vincere con le sue quadrighe alle Olimpiadi e allora comprava il meglio e corrompeva (non si sa mai) gli altri. Paradossalmente il nostro sistema sportivo è selvaggiamente liberistico, mentre quello americano è centralizzato in modo sovietico, con le varie squadre che sono null’altro che dei soviet, appunto, decentrati, sui quali il potere centrale ha il potere assoluto. Nella nostra percezione tutto questo sembra assolutamente normale, la cosa che però non è normale è che da noi, soprattutto in Italia, nessuno vuole anche accettare le conseguenze inevitabili quando la società è retta da incapaci che sperperano soldi a vanvera e si indebitano sempre di più. La logica liberistica vorrebbe che a questo punto uno dicesse: “Sono incapaci, è solo giusto che falliscano”, mentre invece scattano cordate di salvataggio e si piangono calde lacrime sui giornali locali sullo “spegnimento crudele di una luminosa tradizione” fino a che i politici di turno mettono le cose a posto ristabilendo, ma anche rafforzando, le proprie clientele.

Tanto più diventa grottesco il tutto quando proprio le società più indebitate e prossime alla bancarotta decidono di andare per conto proprio a guadagnare soldi di ignari americani addebitando le loro sciagurate gestioni al fatto che la UEFA e la FIFA non permettono loro di guadagnare quanto vorrebbero. So’ cazzi vostri, verrebbe da dire. Avete ballato d’estate? E allora adesso cantate. Ma non rompeteci le scatole con storie ridicole: siete già le società più ricche e potenti. Non vi basta? Ma andate a farvelo mettere. Andatelo a dire ai vari Lech Poznan, Molde, Slovan Bratislava, Djurgaarden che non hanno occhi per piangere. Che la UEFA pensi più a loro e ai loro tifosi e sostenitori, che si ricordi sempre la ragione unica per la quale esiste, che è quella di far sì che il calcio viva il meglio possibile dappertutto e non solo nelle viziate metropoli, è il suo compito primario che, almeno sulla carta (poi cosa succede nelle retrovie del potere non voglio neanche saperlo), deve essere in cima a tutti i suoi doveri istituzionali. Perché poi la UEFA dovrebbe aiutare ancora di più i ricchi a scapito dei poveri invece di ridistribuire i proventi a chi ne ha più bisogno, è una cosa che nella mia mentalità prettamente bieco-vetero-comunista non capisco né mai riuscirò a capire.

Per finire: e allora l’Eurolega? Come mai nel basket può esistere e nel calcio no? Fermo restando che quanto stanno dicendo i vari commentatori che in fatto di diffusione e popolarità, nonché di storia, aggiungo io, non ci possono essere paragoni in Europa fra calcio e altri sport di squadra, è ovviamente sacrosanto, io aggiungerei anche che nel basket c’è una peculiarità che è assolutamente decisiva. Nel basket mondiale a comandare c’è l’NBA e non certamente la debolissima FIBA. All’NBA l’Eurolega sta bene, molto bene, mentre la FIBA rompe di continuo le scatole in modo petulante e velleitario. E allora viva l’Eurolega, e tutti vissero felici e contenti.