Non so se ve l’ho già detto (visto che ripeto sempre le stesse cose come un disco rotto – avete anche voi mai provato l’imbarazzo di quando dite: “Vi ho già raccontato la storia…” e vi sentite rispondere: “Quella di quando succede questo e quello e poi finisce così? No, mai sentita” – ebbene, a me succede più che spesso e volentieri, per cui ve l’avrò già detto mille volte), ma il mio vero sport è sempre stato il nuoto. Per tutta una serie di ragioni: la prima è che mio padre era un grande appassionato, avendolo praticato con successo in gioventù e, come sapete, tutto quello che mio papà faceva era per me sacro, ma la seconda e di gran lunga più importante era quella che io sono fondamentalmente una foca, maldestro, goffo e lento sull’asciutto, e perfettamente a mio agio in acqua. E infine ovviamente perché mi piace nuotare. Ragion per cui quando nei miei anni adolescenziali e della prima gioventù si disputavano ancora i Giochi sportivi della minoranza slovena in Italia e noi giovani ragazzi ci davamo da fare come matti per organizzare le varie squadre del nostro paese, tentando magari di carpire con qualche sotterfugio un potenziale campione a qualche paese rivale, io ero sempre l’ultimissima scartina quando si facevano le varie squadre degli sport sulla terra ferma (a parte il basket e il tennis tavolo che praticavo agonisticamente), ma ero il boss indiscusso quando si trattava di piscina. La squadra di nuoto la si faceva attorno a me. Avevo una buonissima acquaticità e dunque potevo nuotare con grande rendimento (ovviamente nelle nostre limitatissime proporzioni) tutti gli stili e in più durante gli anni del mio liceo papà, che insegnava nell’edificio attaccato al nostro, una volta alla settimana, quando finiva alla mia stessa ora, mi raccoglieva e andavamo a fare un’ora di allenamento alla vecchia piscina Bianchi durante l’ora aperta al pubblico prima di tornare a casa. Dove mi attendeva l’insuperabile jota di rape con salsiccia di mia nonna seguita dal grieskoch con lo chateaux. Scusate, struggenti ricordi di gioventù…

Per tornare al nuoto, proprio ad esso sono legati i miei più bei ricordi di successi agonistici, come la vittoria a sorpresa nei Giochi della minoranza a 17 anni sui 200 stile libero, o l’argento in staffetta mista (frazione cruciale in delfino) dietro all’imbattibile Sokol di Aurisina (loro al mare ci andavano ogni giorno e si allenavano come pazzi), ma anche il bronzo ottenuto sui 66 stile libero ai Giochi studenteschi triestini nella categoria dei non agonisti (per dire, fra gli agonisti vinse un tale Roberto Pangaro, poi primatista italiano, mentre nel dorso vinse Franco Del Campo, altro campione e primatista italiano nonché finalista olimpico).

Il nuoto è dunque sempre stata una mia passione, e inoltre, avendolo praticato, ho un occhio allenato per vedere quanto ognuno fa in piscina in ogni momento e cosa sta provando in quel momento, ragion per cui guardo sempre tutte le gare che ci sono in TV, batterie comprese quando le trasmettono in occasione dei grandi eventi. In più, malgrado Mecarozzi (per non parlare dell’ineffabile Cattaneo che ha sostituito – ma perché proprio lui? E’ proprio tanto raccomandato? – il suddetto impegnato al Giro) e Elisabetta Caporale (per fortuna che c’è Luca Sacchi – ma perché semplicemente non lo lasciano che faccia la telecronaca da solo, così almeno non dovrebbe perdere tempo a rimediare alle cavolate dette dal telecronista che gli sta a fianco?), mi piace ascoltare le interviste del bordo vasca, perché dalle risposte tento di capire, e poche volte finora mi sono sbagliato, se si è in presenza di un vero campione o di un perdente con tutte le sfumature intermedie che ci sono. Tanto per dire un vincente nato è per me Gregorio Paltrinieri che sono strasicuro che in ogni gara tira fuori da sé tutto quello che ha in quel momento e che odia perdere, e sono rimasto fulminato dalla straordinaria tempra di vincente di Benedetta Pilato che mi ha fatto saltare dalla sedia quando alla domanda se si riteneva entusiasta dei suoi Europei con il primato del mondo sui 50 rana ha risposto: “Non  proprio del tutto” “Per quanto hai fatto sui 100 metri?” “Sì”. Ecco il campione, almeno secondo i miei standard: quando vinco ho fatto semplicemente il mio dovere di più forte di tutti gli altri, il problema è: come mai può succedere che perda? Quando succede bisogna subito rimediare. Non esiste che io perda di nuovo.

In merito è tutta una vita (17 anni! da Atene ’04 a oggi) che provo a capire Federica Pellegrini. E non ci sono ancora riuscito. In privato ho ovviamente provato a tracciare un suo profilo psicologico per tentare di capire cosa ci si possa aspettare da lei prima di ogni grande manifestazione e più o meno quanto ho messo assieme regge. Chiaramente sarebbe di pessimo gusto e profondamente ingiusto nei confronti proprio della persona in questione, soprattutto non conoscendola, dire in pubblico cosa penso. Pubblicamente potrei dire che la sua personalità andrebbe giudicata anche dalla sua vita privata, con i burrascosi rapporti prima con Marin (inciso: da come nella vicenda si è comportata la Manaudou, da perfetta psicopatica, si è capito subito che la sua carriera sarebbe durata poco), poi con Magnini, e poi dal discutibilissimo episodio di X Factor, il che lascerebbe supporre che per lei, per ragioni che solo chi la conosce bene potrebbe ipotizzare, il nuoto è un po’ un rifugio sicuro e confortevole nel quale cercare pace e gratificazione personale, e questa è secondo me la ragione per cui la sua carriera è durata tanto a lungo trovando sempre nuove motivazioni per continuare. In definitiva mi fa un po’ pena, perché da lei si pretende sempre tantissimo, di solito semplicemente troppo, e nessuno riesce a capire quello che lei stessa, secondo me persona molto intelligente e sensibile, continua a ripetere come un disco rotto e che nessuno si prende la briga di recepire, e che cioè per lei il nuoto è un po’ la sua vita (com’era il basket per Dražen) e che dunque può succedere che arrivi a una manifestazione semplicemente per divertirsi, senza pressione da parte sua per eccellere. Peccato che, ogni volta che si presenta ai blocchi di partenza, tutti da lei vogliono che vinca. E se perde partono i processi. Onestamente non so come fa a far fronte a questa situazione. Non ha già vinto abbastanza, povera ragazza, perché per una volta tanto non la possiate lasciare finalmente in pace? Stavolta non voleva neanche fare i 200. E’ arrivata seconda a due centesimi da una bravissima ragazza ceca che fra l’altro, assieme a Romančuk , nuota il più bel crawl attualmente in circolazione e per tutta una settimana ho dovuto ascoltare come la povera Seemanova (fra l’altro uomo del mare, o lago, è un bel cognome per un nuotatore – a proposito vorrei tanto sapere perché il suo cognome sia scritto nella versione originale tedesca e non in modo per loro fonetico come fanno normalmente i cechi, per cui Seeman diventa di routine Zeman) sia quella che per due centesimi ha avuto l’ardire di battere la Divina, come se avesse commesso chissà che crimine. Mentre invece il miracolo che la Pellegrini sia arrivata, visto il contesto, all’argento, invece di esser visto per quello che è, un miracolo prodotto da un’indomabile campionessa, viene visto come una sconfitta. E’ profondamente ingiusto.

Sempre parlando di nuoto devo violentemente confutare quanto supposto e poi detto da Stefano. Penso che sia l’unico sport in Italia, assieme all’atletica, ma questo è solo normale per uno sport tanto di base, che abbia radici esattamente dappertutto e che i nuotatori forti possano uscire da ogni dove. Tantissimi campioni sono usciti da Milano, nei tempi passati da Napoli con la leggendaria dinastia Dennerlein, insomma basta fra l’altro dare una scorsa alle origini degli attuali nuotatori italiani di vertice per capire che la copertura del territorio è completa. Da quando sono in pensione e dunque da quando non devo fare più le telecronache non sono più informato esattamente da dove ciascuno provenga, ma mi pare di ricordare che Paltrinieri sia emiliano di Carpi, Detti sia toscano (fra l’altro Livorno è stato sempre una fucina di grandissimi nuotatori), Martinenghi lombardo come Rivolta, c’è addirittura Piero Codia che è triestino, Acerenza è lucano, per non parlare dei marchigiani (Magnini è di Pesaro) che ce n’è a bizzeffe. Però, come detto, tutta l’Italia partecipa al fatto che il nuoto sia, almeno a giudicare da fuori, lo sport meglio gestito e condotto a tutti i livelli. Certo, aiuta non poco il fatto che Malagò sia il Presidente dell’Aniene, il club più importante d’Italia, e che Paolo Barelli, oltre a essere stato a suo tempo (lo ricordo, penso, a Belgrado) primatista italiano sui 100 delfino e dunque non sia semplicemente un funzionario entrato nelle stanze dei bottoni grazie a traini politici, ma un ex agonista dei massimi vertici, si sia agganciato al momento giusto al carro giusto, quello di Forza Italia, diventando poi anche il Presidente della Lega Europea, ma io non ho mai pensato che essere bravi anche e soprattutto nel trovare i giusti agganci politici sia una colpa, anzi penso esattamente il contrario. Per non parlare dei tecnici all’avanguardia mondiale, tecnici che hanno seguito il cammino iniziato e poi tracciato da Alberto Castagnetti. Questo mi ricordo di averlo già scritto, ma lo ripeto di nuovo. Non dimenticherò mai i Mondiali di Berlino (Ovest) del ’78, quando nessuno della colonia italiana sapeva chi fossi, per cui potevo tranquillamente origliare quanto dicevano “off the record” i tecnici italiani parlando fra loro. Quando potevo mi agganciavo a Castagnetti e alla sua scorta e ascoltavo beato quanto diceva e mi resi subito conto che l’uomo aveva un paio di marce più di tutti gli altri e ascoltare lui era una vera e propria goduria intellettuale.

Ringrazio dunque Cicciobruttino per avere ragguagliato i frequentatori del blog sugli Europei di nuoto, primo per averlo fatto e poi per avermi fatto capire che, visto anche che gli italiani vincono (come disse McCormack? “In Italia ci sono cinque sport: primo il calcio, secondo il calcio, terzo il calcio, quarto la Formula Uno, cioè Ferrari, e quinto tutti gli sport nei quali gli italiani vincono”), la manifestazione non è passata inosservata come un appassionato di nuoto quale il sottoscritto temeva.

Di basket la prossima volta, quando vi farò una confessione sconvolgente, e che cioè in gara uno di Clippers-Mavs ho visto anche momenti interessanti e del tutto inattesi di basket vero, quello di una volta, e parlerò inoltre di come Brindisi mi abbia completamente deluso in gara uno contro la Virtus, commenterò poi anche il suicidio perfetto, come giustamente l’ha definito Gabriele, di Sassari contro Venezia. Per ora solo un appunto a Skuer: i suoi numeri su Vildera devo dire che non mi interessano affatto, non potrebbero fregarmi di meno. Il punto della questione è quanto uno può dare non in termini assoluti, ma in termini relativi rispetto alle sue possibilità, che nel caso di Vildera sono molto limitate, ovviamente. Per me, ripeto per l’ennesima volta, quando uno dà sempre quanto può e sa dare, è un campione a prescindere. Perché lo è nella testa.