La gente che incontro e che legge più o meno regolarmente questo blog mi chiede come mai ho scritto così poco delle Olimpiadi e si dichiara abbastanza delusa. Le ragioni sono semplici: durante tutto il periodo olimpico la mia attenzione era rivolta principalmente al pezzo che dovevo scrivere e consegnare ogni giorno al Primorski, pezzo che evidentemente andava scritto alla fine delle competizioni, dunque verso sera, che è quando normalmente scrivo i miei interventi sul blog. Di giorno guardavo ovviamente le gare, per cui di tempo non ce n’era. La ragione principale però è un’altra: dovendo scrivere per un quotidiano della minoranza slovena la mia attenzione era rivolta verso gli sport nei quali primeggiavano gli sloveni che erano esattamente altri rispetto a quelli che interessavano voi che mi seguite. L’unico punto di contatto era il basket, ma quanto scrivevo di basket ha incontrato un per me stranissimo (o forse neanche tanto strano, ma lasciamo stare, tanto non lo ammettereste mai) muro di incomprensione e rifiuto, addirittura ostilità oserei dire, per cui, capita l’antifona, mi sono adeguato e ho preferito tacere. Non c’è discussione più inutile e controproducente che quella fra gente che parte da punti di vista opposti e inconciliabili. In più, essendo io come sapete di sentimenti sloveni, mi sono talmente immerso nelle cose “mie”, che erano fra l’altro esattamente quelle che interessavano i miei lettori del momento, che delle cose che interessavano a voi onestamente non avrebbe potuto fregarmi di meno.

Faccio un esempio, tanto per farmi capire, e pur sapendo che quanto adesso scriverò è abbastanza lontano dalla vostra sfera di interessi, penso che sia comunque interessante da un punto di vista generale, in quanto parla delle dinamiche che guidano l’interesse della gente risvegliando passioni e pulsioni che un qualsiasi sociologo studierebbe con grande piacere. Lo sport del momento in Slovenia è ovviamente il ciclismo, avendo la Slovenia in questo periodo incredibilmente quelli che sono senza ombra di dubbio i due migliori ciclisti al mondo, sicuramente i due più completi che possono vincere qualsiasi tipo di corsa, sia in linea che a cronometro, che a tappe di una settimana o addirittura grandi giri. Chiaro che nelle corse in linea ci sono in questo momento altri super-fior di corridori, da Van Aert a Van der Pool, da Alaphilippe a Evenepoel, ma in fatto di completezza non ce n’è di migliori rispetto a Pogačar e Roglič, tanto che un Matej Mohorič che si permette il lusso di vincere per distacco le due tappe più lunghe del Tour passa addirittura in secondo, se non terzo piano rispetto alle prodezze dei due matadores.

Mi sono sempre chiesto cosa fosse l’Italia ai tempi nei quali i due principali partiti politici non erano quelli classici, ma il partito coppiano opposto a quello bartaliano, e quali fossero le dinamiche che regolavano i rapporti fra queste due grandissime, e fra loro acerrime nemiche, fazioni. Ora sto avendo una risposta guardando a quanto succede in Slovenia, dove tutti gli appassionati si sono inevitabilmente divisi nelle due fazioni dei “pogačariani” e “rogličiani”. Ora fra l’altro siamo in tempi di social e, per quanto, come sapete, io non li frequenti per una precisa scelta ideologica, so da quanto mi raccontano che nei vari forum le discussioni divampano. Fra l’altro la cosa che più mi colpisce è il perfetto parallelismo che c’è fra Bartali=Roglič e Coppi=Pogačar. Come Bartali anche Roglič è abbastanza più anziano, avendo cominciato a correre in bicicletta molto più tardi (all’età che Tadej ha adesso il buon Primož appena cominciava a correre qualche gara di cicloamatori per tenersi in moto dopo l’incidente di Planica quando faceva ancora il saltatore con gli sci), e proviene da una zona abbastanza sfigata, o come dicono gli sloveni “dietro alla schiena di Dio”, e cioè lo Zasavje (letteralmente “zona dietro alla Sava”, e già la preposizione “dietro” suona un tantino sinistra), per chi interessa la zona direttamente a nord-est della conca di Lubiana, zona non proprio turistica, visto che le due cittadine principali, Trbovlje e Hrastnik, sono da secoli il centro sloveno dell’estrazione di carbone, e infatti a Trbovlje c’è la più grande centrale termoelettrica slovena, per cui potete tranquillamente capire che non si tratta di una zona particolarmente salubre. Roglič è dunque un tipico provinciale/campagnolo, originario del corrispettivo sloveno del Galles, ragazzo certamente non espansivo né particolarmente brillante, ma di grande intelligenza, e soprattutto dotato di grandi valori morali dovuti proprio alla sua estrazione umile di gente che ha sempre dovuto combattere e lavorare duramente per guadagnarsi la pagnotta quotidiana e dunque sa benissimo cosa sia il sacrificio e la fatica. E in più non è certamente nato sotto una stella particolarmente benevola, stella che fra l’altro gli impedisce, per qualche strana ragione, di vincere in Francia, dove è sempre dominatore di tutte le corse a cui partecipa, salvo poi cadere e farsi male in una delle ultime tappe (clamoroso il Delfinato dello scorso anno o la Parigi-Nizza di quest’anno), o per parlare di Tour crollare quando sembrava già in cassaforte, o addirittura cadere più volte nelle prime tappe tanto da doversi ritirare come quest’anno. Non si parla ovviamente del Giro di due anni fa, quando la gente della sua ammiraglia stava tranquillamente pisciando a bordo strada mentre lui cadeva nella discesa verso il lago di Como.

Dall’altra parte c’è il perfetto contraltare rappresentato da Tadej Pogačar, uno come Coppi palesemente predestinato a cui tutto è andato finora senza il minimo intoppo. Lui è di famiglia borghese benestante, impregnata della cultura e dei valori cattolici, da cui consegue che ci sono tanti figli (quando Dio li dà, li si prende – un’altra famiglia esattamente analoga è quella dei Prevc), nato all’estremo nordovest della zona metropolitana di Lubiana, tecnicamente nella Carniola Superiore (Gorenjska), ma in realtà cittadino a tutti gli effetti. Nelle famiglie cattoliche vecchio stampo non c’è spazio per l’assenza di disciplina (con tanti figli da crescere insieme senza disciplina si finisce nel caos più incontrollato, per cui è una specie di meccanismo naturale autoregolante) e di rispetto da parte delle giovani generazioni, per cui è cresciuto educato, rispettoso, ma comunque sempre sicuro di sé. E finora in carriera non ha avuto problemi e tutto si è svolto come in una favola improbabile da film americano: la scoperta avvenuta grazie al reclutamento del fratello maggiore, il dominio da junior (e infatti nel ’18 fu mandato al Giro di Slovenia e ancora adesso mi ricordo di questo ragazzino apparentemente fragile che né Roglič né Uran riuscirono mai a staccare, per quanto ci provassero), il passaggio ai pro chez Saronni, subito la prima vittoria (tappa e giro) al Giro dell’Algarve, poi Giro di California, terzo posto alla Vuelta, primo grande giro al quale lo mandarono proprio perché volevano vedere quali fossero i suoi limiti a 20 anni, e dall’anno scorso in poi la cavalcata trionfale vincendo tutto quanto si poteva vincere, classica monumento compresa. Ora è semplicemente l’indiscusso numero uno delle classifiche mondiali, il corridore meglio pagato al mondo, e come tutti i VIP che si rispettino ha residenza a Montecarlo dove normalmente vive assieme alla sua ragazza (Urška Žigart, ciclista anche lei e che in realtà non funge solo da mero folclore, visto che l’anno scorso è stata campionessa slovena a cronometro). Insomma una  favola a lieto divenire (e il buon Tadej a queste parole ha tutte le ragioni per fare tutti i gesti apotropaici possibili per scongiurare questa clamorosa gufata).

Questo dualismo, inutile negarlo, mi affascina, visto che ai miei tempi io vissi solamente la abbastanza annacquata rivalità fra Moser e Saronni che erano più o meno lo stesso tipo di corridori, pur con tutte le differenze che gli esperti non mancheranno di rimarcare, ma che per carattere, estrazione sociale e capacità tecniche erano più o meno della stessa pasta. Senza mancare di notare, e qui i loro tifosi italiani mi perdoneranno, all’epoca erano ben diversamente dominanti, soprattutto nei grandi giri (che infatti dovettero essere disegnati praticamente senza salite e con tante cronometro perché riuscissero a vincerli, e ciò ovviamente solo in Italia), rispetto a quanto lo siano oggigiorno i due moschettieri provenienti dall’insignificante Slovenia.

La grande differenza fra i due corridori sembra fatta apposta per risvegliare in Slovenia una passione che va ben oltre i loro successi agonistici, e ciò malgrado il fatto che fra di loro ci sia più che genuino rispetto e apprezzamento delle capacità dell’altro. Si tratta di vedere se si fa il tifo per quello che si percepisce come un magnifico perdente oppure per quello che è stato baciato in fronte dalla sorte e che dunque attira come un magnete tutti i possibili saltatori sul carro del vincitore che ci siano. Io, inutile dirlo, anche per il sincero dolore che ho provato l’anno scorso dopo il dramma di Roglič sulla Planche des Belles Filles in un Tour che avrebbe strameritato di vincere, sto tutto dalla parte del brutto anatroccolo che percepisco come una grande persona, buono e solare, che ha l’unico difetto di non saper comunicare, anche se, potete credermi, nei momenti di relax e quando parla nella sua lingua madre, sa anche essere molto spiritoso, dello spirito un po’ di montagna, quello che ti fa ridere della battuta solo un paio di minuti dopo quando l’hai finalmente capita. E dunque, quando ha maciullato la concorrenza nella cronometro olimpica, al suo arrivo, ebbene sì, è venuta giù anche qualche sentita lacrima. Per cui avrei ucciso sull’istante Jacopo Volpi quando nel suo salotto ha fatto un neanche tanto velato accenno al fatto che, se vince uno sloveno, deve essere dopato per forza. Meno male che c’è stato Velasco a calmarlo, perché stavo per spaccare la (nuova) TV. Fra l’altro che un italiano accusi altri di doping, soprattutto nel ciclismo con tutto quanto abbiamo vissuto nel passato, mito Pantani compreso, scusatemi, ma mi sembra la classica favola del bue che da del cornuto all’asino. Fra l’altro si dimentica sempre che Roglič si è dedicato al ciclismo a un’età nel quale il suo corpo si era già formato e che prima si cimentava in uno sport nel quale tutto si può prendere, ma prendere steroidi è totalmente idiota, visto che si rischia solo di precipitare a valle per il peso che si accumula. E infatti, se c’è una cosa della quale abusano i saltatori, sono diuretici vari, per cui in definitiva sono tutti semi anoressici, dunque tutto il contrario di quanto servirebbe per un ciclista. Ragion per cui non ha fatto le gare giovanili di ciclismo nelle quali, in tutto il mondo, inutile negarlo, circolano le cose più strane possibili, come ti dicono tutti gli addetti ai lavori in un orecchio a microfoni spenti. E dunque quanto ha potuto fare quando è andato in Olanda è sicuramente molto meno, per pure ragioni cronologiche, di quanto hanno fatto tutti gli altri per arrivare ai massimi livelli possibili.