Non riuscivo proprio a decidermi di scrivere qualcosa fino a oggi, visto che ho da fare delle comunicazioni, per così dire, di servizio. La ragione del mio silenzio così perdurante è dovuto essenzialmente a due ragioni. La prima è la più stupida e banale. Faceva molto caldo, c’era tantissimo sport da vedere in TV, finalmente sport vero e non le stucchevoli chiacchiere da bar sul calciomercato che odio da sempre e mi creano violenti attacchi di gonadociclosi ogni volta che sento che oscure trattative sul carneade di turno vengono pompate come scoop epocali, e dunque anche i tempi tecnici per scrivere erano limitati. In più qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata nientemeno che da Poughkeepsie, New York, da parte di un triestino che vive e lavora da 20 anni circa laggiù, un appassionato di basket che, pur non sapendo una parola di sloveno, si sente vicino alla nostra minoranza, visto che il suo cognome, Vedrini, null’altro è che la classica storpiatura fatta dai fascisti del cognome Vidrih, lo stesso cognome fra l’altro del mio carissimo amico e collega Sandro, che mi chiedeva di narrargli la storia della nascita e dello sviluppo del basket della nostra minoranza nella quale, immodestamente, il sottoscritto ha avuto una parte abbastanza rilevante. La cosa mi ha molto intrigato, visto che non ho mai scritto nulla in merito e ho pensato che sarebbe stato abbastanza interessante per qualcuno sapere come vedevo la cosa dal mio punto di vista.

Ho scritto pertanto per il mio amico di New York una storia abbastanza lunga e, quando l’ho riletta, ho pensato che fosse interessante proprio come storia, nel senso che dopo gli inizi pioneristici a livello super amatoriale e dopo i primi sviluppi era subentrata una profonda crisi che sembrava avesse rovinato tutto, salvo poi, grazie a un grande e imprevisto colpo di scena (come nei film, solo che stavolta era tutto vero), letteralmente esplodere fino ai magnifici fasti della promozione in Serie B con una generazione di giocatori irripetibile e ormai quasi leggendaria. Se a qualcuno interessa, la storia la trovate allegata nella sezione dei testi a parte che si apre sulla pagina home.

La seconda ragione del mio silenzio è molto più sottile e non so se riuscirò a spiegarla in modo chiaro. Ho sempre ritenuto il mio blog un luogo nel quale parlare soprattutto di sport, argomento che sembra futile, ma che nelle mie intenzioni doveva stimolare la gente intelligente a ripensare a come la concezione dell’attività fisica che poi culmina nello sport agonistico sia in realtà un fattore sociale importantissimo che caratterizza, volenti o nolenti, il modo con cui noi giudichiamo la civiltà e la cultura di un popolo. Volevo insomma, e lo voglio ancora, far capire alla gente l’importanza dello sport in generale, ma soprattutto di come dovrebbe essere concepito e praticato. In breve, esattamente al contrario di come viene visto e percepito in Italia, dove lo sport viene visto essenzialmente come una valvola di sfogo per gli strati sociali più emarginati e problematici, oppure come una giungla di competitività feroce e estrema, e non come uno strumento per arricchire in modo formidabile la coesione sociale, la solidarietà, la comprensione dell’importanza dell’educazione, della disciplina e del corretto vivere in comunità. Devo perciò dire che mi ha molto rattristato la deriva che hanno preso i vostri commenti, soprattutto da parte di Stefano, Llandre, Cicciobruttino e Edoardo, che si sono spinti a discutere animatamente su quella che io reputo la classica disputa futile sul sesso degli angeli, leggi i massimi sistemi politici e filosofici che ovviamente ognuno vede a modo suo e, per quanto poi si discuta, alla fine ognuno ovviamente rimane della sua opinione fermamente convinto che lui no, non segue nessun tipo di ideologia, ma solo le sue idee. Cosa ovviamente del tutto risibile, visto che ognuno di noi viene da un ambiente ben definito che lo ha forgiato in modo indelebile fin dalla sua nascita e, per quanto poi si sforzi di allargare i suoi orizzonti, rimarranno sempre inevitabilmente limitati all’isola nella quale è nato e cresciuto, mentre fuori e lontano c’è tutto un universo che mai riuscirà neanche a concepire che esiste e nel quale la gente che lo abita vede le cose partendo da completamente diversi punti di vista, meglio di partenza.

In definitiva, scusatemi, ma come sapete conoscendomi non sono uno abituato a particolari giri di parole diplomatici e dico sempre le cose come le penso veramente, più di tre quarti dei commenti al mio blog precedente, che pure pensavo potesse offrire spunti interessanti per parlare di sport nel senso che intendo io e che ho spiegato sopra, si sono rivelati, almeno ai miei occhi, roba trita, ritrita e in definitiva totalmente inconcludente. Se proprio volete un veloce commento mio a quanto avete scritto con tanta passione vi consiglio, per schiarirvi le idee almeno un tantino, di leggere il libro scritto da un professore universitario, tale Enrico Padoan, per gli amici Pado, un tipo molto simpatico che si intende anche di basket, che si intitola “Populismo vs. sinistra” e che parla in particolare della genesi e dell’impatto sulla politica italiana di Beppe Grillo e del suo movimento.

La seconda comunicazione di servizio che volevo farvi era la mia idea di fare la sconvenscion di settembre il 10, data perfidamente scelta per fare in modo che, con gli Europei di basket in pieno svolgimento, durante la sconvenscion stessa ognuno faccia le sue previsioni su come andrà a finire, dando così la possibilità a tutti di prendersi in giro per le previsioni sballate quando ci rivedremo in inverno per la nostra riunione invernale. Che ne dite? Per favore, ditemi se è troppo presto, se riuscite a venire, insomma le solite cose. Vorrei veramente che stavolta fossimo tutti in sessione plenaria, per cui, qualsiasi data possa essere quella nella quale potrebbe essere presente la massima possibile quantità di gente, sarà alla fine poi quella scelta. Mi piacerebbe che fosse finalmente presente anche Roda che, io sono uno che le cose le ricorda, fu uno dei pochissimi presenti “da fuori” alla primissima sconvenscion tenuta a Mavhinje-Malchina, cosa per la quale avrà sempre la mia più sentita gratitudine. Spero tanto che i nostri diverbi sulla pronuncia dei nomi (inutile, su questo viviamo in due galassie distinte in universi diversi) non abbiano intaccato una sincera amicizia, visto che per esempio in fatto di sport continuiamo ad avere sempre e comunque idee, se non uguali, almeno molto, ma molto simili.

Dicevo all’inizio che c’è stato nel frattempo tantissimo sport di massimo vertice e devo dire che mi sono divertito e appassionato sia seguendo gli Europei di nuoto che soprattutto i “Giochi europei” di Monaco. Su questi ultimi vorrei intanto dire che l’idea stessa di raggruppare per quanto possibile tutte le rassegne europee del massimo numero di sport possibili mi è sembrata azzeccatissima già la volta scorsa che li fecero a Glasgow, e tanto più stavolta. Mi sembra che sia una manifestazione a misura di uomo e di atleta, che si svolge a stretto contatto di pubblico in luoghi bellissimi, normalmente nel centro cittadino, e l’atmosfera che si respira è bellissima. Certo è che bisogna trovare città adatte, ma penso che in Europa ce ne siano tantissime, soprattutto quelle che hanno già ospitato le Olimpiadi. A differenza di queste ultime i Giochi europei non hanno nulla della pompa pseudo-classicheggiante che accompagna le Olimpiadi e che un po’ di fastidio lo da, almeno a me, e l’edizione di Monaco, in impianti bellissimi che fra l’altro ricordo con estrema nostalgia, visto che furono le prime Olimpiadi che seguii per Capodistria (vedendo la ginnastica che si disputava nel mitico palazzetto dello storico USA-URSS di basket mi è venuta una vera e propria strizza al cuore e ho quasi rivissuto minuto per minuto l’incredibile finale di quella partita), è stata una vera e propria goduria. Un paio di momenti indimenticabili: Elia Viviani che dopo 250 km in bici non riesce a tirare la volata a Dainese nel pomeriggio e poi di sera va a vincere al velodromo la medaglia dell’eliminazione, il salto di apertura di Duplantis a 5 e 65 con l’asticella valicata di un buon metro e subito dopo l’inquadratura in tribuna del suo smisurato staff tecnico, formato nientemeno che da papà e mamma (alla faccia della programmazione tecnica, fisica, psicologica, nutrizionale, mentale e cose del genere, che possono sì far progredire gli atleti di livello medio, ma non potranno mai trasformare un tacchino in aquila – e il buon Duplantis è il re delle aquile reali, per fortuna è già nato così, e Dio ce lo conservi per più che può), la medaglia d’oro e la felicità e l’orgoglio dell’albanese Gega (scusa Roda, ma si legge Ghega – se fosse Giega gli albanesi lo scriverebbero Xhega – come Ghega si chiamava l’ingegnere che progettò nel 19-esimo secolo la Suedbahn, la leggendaria linea ferroviaria fra Vienna e Trieste, e non per niente a Trieste la Via Carlo Ghega è quella che collega il centro alla stazione), primo oro nella storia per il Paese delle aquile, e ovviamente per me sloveno il triplo oro di Janja Garnbret nell’arrampicata sportiva, disputata nella piazza principale di Monaco di fronte a un pubblico strabocchevole. Ancora un ricordo personale: nel 1968 andammo in gita scolastica solo noi della quinta proprio a Monaco e la prima sera ci fermammo nel futuro parco olimpico a mangiare in un fast food americano di carne di pollo. Lì c’era allora solamente la torre olimpica con in cima il ristorante (e il fast food al pianoterra), per il resto era tutta una spianata piena di macchine per l’edilizia, mentre in lontananza si vedeva un inquietante gigantesco ammasso di macerie della seconda guerra mondiale. Ci dissero che sarebbe diventato un parco e noi quasi non ci credemmo. Vedere adesso quell’ammasso diventato uno splendido polmone verde in mezzo alla città, dove hanno potuto far disputare delle bellissime gare di mountain bike, fa veramente bene al cuore. Volendo si può fare, sembra.

Per quanto riguarda gli Europei di nuoto il discorso è un po’ diverso, dovuto alla differenza delle condizioni al contorno, come dicono i matematici. Nel senso che per vederli in TV uno deve per forza seguire un canale che li trasmetta. In Italia li trasmettevano tanto la RAI che Sky. Intanto le riprese, ovviamente uguali per ambedue, salvo gli stacchi per le interviste (il commento su queste lo sorvolo – basti dire che, al confronto, i nuotatori sembravano tutti Einstein in mutandine), riprese palesemente affidate a registi diversi, perché la qualità era assolutamente casuale e uno non sapeva all’inizio cosa aspettarsi di giorno in giorno. Un paio di volte c’è stato un regista assolutamente fuori di testa, non so se più pazzo o incapace, che riprendeva le gare quasi esclusivamente dalla camera sotto il pelo dell’acqua (telecamera da usare esclusivamente per i replay o per immagini saltuarie a effetto durante le gare lunghe, ma assolutamente demenziale per le gare fino ai 200 metri), per cui durante le virate si vedeva solamente una gran schiuma e per sapere chi aveva virato per primo bisognava aspettare la grafica, e dunque con questo disgraziato al timone praticamente le gare non le ho viste. Per il resto un po’ meglio, anche se la telecamera che segue i nuotatori sulla rotaia a bordo vasca avrebbe dovuto essere piazzata almeno mezzo metro più in alto per permettere di vedere anche come nuotavano nelle corsie opposte. Come era messa la telecamera si vedevano massimo i primi quattro nuotatori, solamente intravedendo quanto faceva quello in corsia 4, ovviamente il più forte delle eliminatorie.

Insomma riprese fra le peggiori mai viste in 50 anni di carriera. E poi la messa in onda. La RAI che nelle prime due giornate interrompe a metà le finali per un’idiota e totalmente inutile edizione del TG – poi per fortuna sembrano essere scesi a più miti consigli - con il commentatore che continua nel suo mantra dell’inno più bello del mondo nella piscina più bella del mondo (io ci sono stato per gli Europei dell’ ’83: credetemi, quando piove è tutto meno che la più bella piscina al mondo) celebrando le vittorie a raffica degli italiani, dimenticando un paio di cose: non c’è la Russia, i britannici sono in vacanza dopo i Giochi del Commonwealth, i francesi rinunciano al loro migliore, la Sjoestroem è in gita premio, Kamminga è fuori forma, le olandesi volanti hanno tutte smesso (anche se ciò non toglie che hanno comunque la velocista migliore), in definitiva si tratta di uno degli Europei più scarsi della storia in fatto di presenze al vertice. E’ un fatto irrefutabile. E allora, di grazia, una volta sola, magari con tutta la diplomazia del caso, qualcuno poteva anche dircelo. Di Sky dico solo che ha messo in piedi una programmazione normale, esaustiva, insomma una cosa che per una televisione normale (come la RAI evidentemente non è) dovrebbe essere del tutto di routine. Fin qua tutto bene. Peccato che poi il commento l’abbiano affidato a un invasato totale che non faceva altro che parlare e sbraitare scassando di continuo gli zebedei, il tutto per dimostrare quanto ne sapesse di nuoto e quanto fosse bravo. Inascoltabile, soprattutto per uno come me che per tutta la sua carriera è stato sempre convinto che una telecronaca è un sommesso aiuto e supporto alle immagini e, tendenzialmente, meno si parla (soprattutto a vanvera), meglio è.

Sulle gare in sé, a parte Popovici, si è visto onestamente poco, e i tempi, estasi patriottica a parte, sono lì a testimoniarlo. Certo, il giovane romeno è un fenomeno, ma lo si sapeva. Sarà anche antipatico (perché poi? forse perché risponde in modo normale e non fa il Tamberi?), ma è finalmente uno per il quale vale pagare il prezzo del biglietto per andare a vederlo. Era ora.

Di basket ovviamente avremo tutto il tempo per parlarne. Solo due cose: saranno Europei bruttissimi da vedere (almeno per noi romantici), ma durissimi e combattuti fino all’ultima goccia di sudore da tutta una serie di squadre molto, ma molto ben attrezzate, e l’Italia in tutto questo, sarò controcorrente, e poi vedremo chi avrà avuto ragione, mi sembra molto meglio di quanto si pensi. E’ assemblata bene, la coppia Pozzecco-Recalcati mi sembra abbia le idee molto chiare su quello che ciascuno è chiamato a fare, è duttile con tanti semi-lunghi capaci di giocare sia sotto che fuori, insomma, se fossi il coach delle squadre avversarie, avrei molta, molta paura nel dover affrontare l’Italia. Può perdere contro chiunque, vedi ieri il primo tempo contro l’Ucraina, ma può anche battere chiunque. Staremo a vedere, poi mi prenderete in giro.