Scusatemi se mi faccio vivo con tanto ritardo, ma è stato un periodo nel quale ho avuto molti impegni e a un dato momento mi sono proprio svuotato. Non solo, ma onestamente non avevo niente di cui parlare. Dopo aver terminato il libro che sancirà definitivamente la mia esclusione da tutti i canali mainstream del basket italiano con il mio smontaggio totale di quell’inverecondo circo di highlights, spettacolo circense di bassa lega, tiro a segno interminabile in un contesto di galline impazzite senza testa che corrono a vanvera per il campo e di ostinate giocate in 1 contro 5 che è l’NBA di oggi, mi sono semplicemente riposato, ma soprattutto, ancora sotto l’influsso di quanto ho scritto (autoconvincendomi?), ho sviluppato una specie di rigetto del basket tout court. In particolare, quando guardo il basket italiano, dopo pochi minuti cambio inevitabilmente canale non riuscendo più a sopportare le cose assurde che vedo. Certo, in tutto ciò aiuta anche l’insopportabile piega che ha preso oggi l’idea di cosa sia il commento di una partita di basket con urla belluine ogniqualvolta un giocatore esegue una non-cazzata e di converso le scuse più assurde che vengono trovate per giustificare, appunto, le continue cazzate che si vedono. “Era un tiro complicato…” per una conclusione in arresto e tiro da un metro con le braccia libere (l’unica cosa che conta, se soffri i contatti va a giocare a cricket), tiro che, per ogni persona normodotata che gioca a basket per professione e dunque si allena con costanza in questo tipo di esecuzioni tecniche, dovrebbe essere di assoluta routine e causa di depressione prolungata quando ogni tanto (succede) magari esce. E certamente non meravigliarsi quando entra.

Certo, si può eliminare il commento e affidarsi al sollievo dei suoni d’ambiente, ma il fatto è che conosco così poco i giocatori del campionato italiano che vorrei sapere come si chiamano quelli che mi sembrano meno scarsi e alcuni altri che addirittura mi sembrano bravi e onestamente sprecati in un contesto caotico e senza discernibili linee guida su un progetto di gioco di squadra che sia uno. C’è sempre uno che si ritiene il fenomeno, fa quello che vuole senza che nessuno gli dica niente, gli altri non si muovono neanche, tanto sanno che è inutile perché comunque la palla non la vedranno, se si muovono vanno a schierarsi in un attacco 4-0 tipo pallamano sulla linea del tiro da tre e lì aspettano. Oppure si vede un palleggiatore che si vede venire addosso un energumeno che tenta di portargli un blocco (senza che quell’altro gli abbia chiesto nulla) in quello che sembra un pick-and-roll alto, ma che non lo è perché nel vero pick-and-roll è il palleggiatore che porta il suo uomo sul blocco che deve essere lì già da bel tempo, e poi l’azione si dipana con l’ovvio roll (se fa pop gli sparo) al momento giusto (cosa fondamentale, ma ormai del tutto sconosciuta) del centro con tutte le opzioni che ne conseguono in seguito agli adeguamenti e alle strategie della difesa avversaria. Pensate un po’: il sottoscritto è categoricamente convinto che il pick’n’roll alto sia una formidabile iattura che ingorga in modo totale la fluidità del gioco d’attacco e scombina tutte le possibili “spaziature” produttive che possano essere messe in pratica, e che questo fondamentale gioco a due sia invece molto più produttivo e letale se fatto nelle posizioni laterali, in quanto offre molte più opzioni sia al palleggiatore che al centro, ma soprattutto crea molte ghiotte possibilità di gioco sul lato debole. Come potete con raccapriccio constatare chi vi scrive è ormai confinato in un suo mondo immaginario che con il basket moderno (che somiglia tanto all’arte astratta in contrapposizione alla Monna Lisa o alla Primavera del Botticelli) non vuole avere a che fare semplicemente perché non riesce a capirlo e di conseguenza, se una cosa non la si capisce, non la si può apprezzare. Ecco perché mi limito a guardare qualche partita di Eurolega (sempre che ne valga la pena, e non succede sempre), perché è l’unico campionato nel quale uno totalmente fuori dal mondo come chi scrive può ancora vedere qualcosa che somigli al basket che lui vorrebbe vedere. Ne consegue che mi accorgo sempre più con sgomento che questo blog, nato per parlare di basket, è sempre più a rischio semplicemente perché il suo responsabile sta diventando sempre più refrattario a seguire lo sport che ha segnato in modo decisivo la sua vita professionale.

In merito alle telecronache vorrei qui esprimere in modo più articolato un ragionamento che ho fatto in modo spontaneo e dunque non completo né facilmente comprensibile nell’ultimo podcast che ho fatto assieme all’amico Alessandro Toso per il suo canale Youtube. Premessa: secondo la mia opinione, corroborata anche dalle tante belle cose che mi dicono quelli che hanno cominciato a seguire il basket su Telecapodistria, una telecronaca deve avere come primo obiettivo quello di interessare la gente a seguire in modo più coinvolgente quanto vede dalle immagini per farsi un’idea più informata su quanto succede. In mente bisognerebbe sempre avere la consapevolezza che, per il bene dello sport che si commenta, la cosa fondamentale è introdurre a quello sport la gente che non lo segue normalmente. Solo così si può allargare la base degli appassionati e far uscire quello sport dalla bolla degli addetti ai lavori, dal giro dei già convinti che quelli sono e quelli rimarranno. E non è detto che, se continua così, rimangano. Per riuscire a farlo c’è solo un modo: quello di essere chiari, parlare come si mangia, dire pane al pane e vino al vino, provando a far capire alla gente che guarda quali sono le cose fondamentali, come e perché si fanno, quali sono gli errori da non commettere, in definitiva quali sono gli scopi finali di ogni cosa che succede. Essere chiari vuole dire come prima cosa parlare in italiano. Sembra una stupidata, ma è decisiva. Qualsiasi parola dello slang americano che viene usata per apparire “esperti” può essere facilmente detta in italiano comprensibile a chiunque (perché non chiusura, o aiuto, o rotazione, invece di close up? – tanto per dire), per cui ogni telecronaca che usa a bizzeffe parole americane che fanno figo non fa altro che far sbrodolare gli adepti di questa neo-lingua e lasciare perplessi i neofiti. Un’altra cosa fondamentale sarebbe quella di evitare di fare gli imbonitori per un prodotto, magnificandone ogni cosa, anche quelle che a ogni spettatore neutrale sembrano (e sono) puttanate colossali, descrivendo in modo obiettivo e sobrio quanto accade sottolineando sempre come e perché una cosa è stata fatta bene, anche quella più oscura per uno spettatore occasionale, e specularmente perché una determinata cosa è stata fatta male, anche se magari porta a una conclusione vincente per una botta di puro sedere. Quello che voglio dire è che una telecronaca è (o dovrebbe essere) anche una specie di lezione elementare sulle logiche filosofiche del gioco che si commenta tentando di spiegarne in modo semplice e comprensibile i fondamenti, soprattutto quando sono messi bene in opera. E invece vedo che sempre più le nuove leve che vengono spinte in prima fila dalle televisioni sono formate da giovani invasati che urlano a squarciagola tentando (e riuscendovi perfettamente) di fare gli imbonitori da circo di paese (quello con una tigre sdentata e due pagliacci) di un prodotto che, come detto sopra, è onestamente sempre più scadente. In conclusione: brutta me la vedo, come disse la marchesa camminando nuda sugli specchi.

Tornando al basket giocato, o non giocato, come Trapani dimostra, ho già scritto che qualche partita di Eurolega l’ho vista. Delle italiane mi sembra che ci sia poco da dire: la Virtus fa quello che può con il roster che ha, dimostra carattere e anche quando perde non le si può imputare granché. L’unica cosa che mi disturba è perché Edwards possa fare quello che vuole con tiri a volte da esecuzione immediata senza che nessuno gli dica niente. Secondo me Morgan, Vildoza e l’altro piccolo di colore di cui non ricordo il nome possono dare comunque molto al reparto dietro senza che Edwards debba fare il fenomeno (che non è). Certo che, se sotto canestro hai quelli che ci sono, molto lontano non vai. Per avere la palla bisogna prendere i rimbalzi e, se ogni avversario che incontri ne prende tre, quattro di fila in attacco, molto lontano non vai.

Per quanto riguarda Milano c’è invece una cosa strana che sta succedendo. Dopo le dimissioni da coach di Messina, per le quali sarei molto curioso di sapere cosa ci stia veramente dietro, ma penso che non lo saprò mai, anche se so tenere la bocca chiusa, ma ormai nessuno si fida più di nessuno, le prime partite di Poeta in panchina mi sono molto piaciute. Ho visto che teneva in campo la gente che giocava bene e metteva in panchina quelli che giocavano male, la conduzione da dietro era sempre centrata e produttiva, sotto canestro la gente si muoveva bene, con logica, tutto andava bene. Poi con il tempo ha cominciato sempre più a manifestarsi la terribile SPM, malattia terminale meglio nota some Sindrome da Panchina Milanese. Più si va avanti, più i cambi che fa il neo coach sembrano a volte incomprensibili, come se fosse in azione un copione progettato da un’oscura e male costruita AI, secondo il quale certi giocatori devono giocare a prescindere, altri spariscono misteriosamente, gente che qualche settimana prima sembrava in perfetta forma quando entra fa cose strane e oscure, insomma la SPM prende il sopravvento. Questo è un altro mistero che vorrei tanto sviscerare. Vorrei tanto capire perché questa sindrome abbia finora colpito tutti, ma proprio tutti gli allenatori che si sono succeduti sulla panchina milanese, a cominciare da gente sulla quale avrei messo ambedue le mani sul fuoco tipo Luca Banchi, Sergio Scariolo, o lo stesso Messina, se per quello. Se qualcuno ha qualche idea in merito me la esterni, per favore.

A questo punto non mi resta, visto che ho cannato il periodo natalizio, che augurare a tutti voi un buon anno nuovo, anche se non credo che sarà un anno nel quale ci si divertirà con la grande politica internazionale che sta sempre più prendendo pieghe più che inquietanti con il mondo in mano a due pazzi totali, anzi, un pazzo lucido e un assoluto idiota, sperando comunque di arrivare a vedere almeno le Olimpiadi invernali. Io in questi giorni sto godendo guardando i salti con gli sci sulla televisione slovena. C’è in corso la classica Tournee dei Quattro trampolini con la vittoria per dispersione di Domen Prevc nella tappa di apertura a Oberstdorf. Ed è bellissimo e divertentissimo seguire sulla TV slovena il giornalista e commentatore tecnico Cene Prevc che intervista il dirigente della squadra di salti Peter Prevc chiedendogli un commento sulla prova in campo maschile di Domen Prevc e in quello femminile della bi-vincitrice della Coppa del mondo e campionessa mondiale (nonché primatista femminile di lunghezza del salto con 236 metri) Nika Prevc. E’ troppo bello. A proposito di sport sloveno lasciatemi celebrare, scusandomi se do fastidio, il titolo di sportivo dell’anno al mondo che l’Equipe ha assegnato a Tadej Pogačar. Ripeto, scusatemi, ma ne sono molto fiero. Basta, non lo farò più, ma mi andava di dirlo.