Fondamenta superficiali
- Scritto da Sergio Tavčar
Continuando a ragionare sul problema e per offrire alla riflessione altri argomenti vorrei ragionare un po' sul perchè, come diceva più che giustamente il succitato commentatore, i giocatori di adesso per imparare qualcosa si rivolgano agli allenatori di "allora". Forse che allora erano più intelligenti? (Oddio...) no, onestamente non lo credo. Ricorderete che tempo fa Alessandro Baricco scrisse un romanzo a puntate sulla Repubblica sui nuovi barbari. Temo che, andando alla radice, il problema stia proprio qui, nello spirito dei nuovi tempi. Nel senso che oggigiorno l'approfondimento più che essere trascurato, proprio non si sa cosa sia. Bisogna sapere un po' di tutto, senza che si senta la necessità di andare al fondo, a capire nell'essenza le cose come stanno. Ora che l'insegnamento del basket in una prima fase forse è meglio che sia di tipo globale, cioè che si parta dall'insieme per poi affrontare analiticamente i singoli segmenti, è probabilmente vero. In me rimane vivo il ricordo delle due tipiche scuole triestine di quando iniziai io: quella della Ginnastica triestina che partiva letteralmente dalle aste e filetti per arrivare a snervanti ed interminabili sessioni di meccaniche ripetizioni dello stesso gesto, una volta imparato il quale si passava alla fase successiva, e dunque c'era una costruzione progressiva dalle fondamenta all'edificio intero, e la scuola dei Ricreatori (praticamente oratori laici, gestiti dal comune) e del Don Bosco (oratorio questo vero, gestito dai salesiani) dove per forza si cominciava dall'assieme, cioè dalle partitelle, per poi passare alla scomposizione del gioco nei segmenti di base lavorandovi in modo parallelo senza privilegiarne uni rispetto ad altri. Ambedue i metodi avevano i loro lati positivi: i giocatori della Ginnastica erano tutti veri e propri manuali del basket, ma leggermente freddi ed impersonali, quelli dell'altra scuola invece più creativi, capivano sicuramente più il gioco, ma tecnicamente non reggevano (anche se di molto poco) il confronto. Per attitudine personale apprezzavo molto di più il secondo sistema, anche se so benissimo che si tratta di gusti. L'importante è, come in ogni cosa, che si sappia cosa si voglia, e la si persegua con costanza e coerenza. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Un gioco da ragazzi
- Scritto da Sergio Tavčar
Interessante: il post sulla lista all-time italiana è arrivato a 15 commenti, il post successivo che era inteso come miscellanea e con solo un accenno al problema del basket giovanile ha scatenato ben 32 commenti (finora). A questo punto ad uno viene il dubbio che si sia toccato un nervo scoperto e che fra di voi ci siano molti più addetti ai lavori di quanto vogliate far trapelare sotto la maschera dell'appassionato qualunque. Se così fosse, lo volesse solo Dio, perchè vorrebbe dire che ancora qualcuno che tenta di ragionare esiste, è un essere materiale e non virtuale, un marziano fatto umano "vero", insomma.
E allora, visto che interessa, parto da molto lontano con la precisa consapevolezza che non arriverò fino in fondo se non scrivendo un romanzo (magari a puntate, che ne dite?). Dire che i vostri commenti sulla constatazione lapalissiana che facevo tempo fa sul fatto che il basket è un gioco che comincia dalla soddisfazione di fare canestro per poi costruirvi attorno tutta l'impalcatura organica che prevede ovviamente anche la difesa, ma solo come effetto e certamente non causa delle motivazioni che portano un bambino ad avvicinarsi a questo sport, constatazione che mi pareva tanto ovvia da averla espressa praticamente en passant, mi siano rimasti sullo stomaco è dire molto poco. Dove in realtà mi siano rimasti, leggermente più in basso cioè, lascio alla vostra fantasia arguirlo. E onestamente mi hanno dato molto da pensare. A proposito scopro di giorno in giorno che questo blog è anche clamorosamente interattivo, cioè ricevo un feedback estremamente interessante che funge da stimolo a riflessioni sempre più articolate. Alla fine sono arrivato alla conclusione che proprio qui sta il peccato originale della penuria di talenti che c'è attualmente nel basket italiano. Ricevo da molti amici ragguagli su come funzionino i corsi per coach in Italia. O loro mi raccontanto balle, o siamo a livelli già demenziali. Roba da non credere. Quantità di ciarpame inutile, anzi pernicioso, nessuna attenzione ai problemi veri che coinvolgono l'attitudine mentale, la psiche, le motivazioni, l'intelligenza, la capacità di apprendere specifiche abilità motorie attraverso un processo di tipo ludico, la completa castrazione di ogni creatività, in parole povere una totale assenza di conoscenze base di pedagogia. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Giovani a parole
- Scritto da Sergio Tavčar
Medie di tiro: che, come dicono gli americani, ci siano le bugie, le grandi bugie ed infine le statistiche me ne resi conto da giovincello quando mi sconvolse la notizia che il miglior realizzatore dal campo nell'ABA prima e poi nell'NBA era Artis Gilmore, uno che infatti tirava solo in schiacciata perchè da oltre i due centimetri non la metteva mai. E il bello è che con queste scelte di tiro aveva il 65%! La domanda è: come faceva a sbagliare il 35% delle schiacciate? (qualsiasi bipede avrebbe segnato...). Da quel momento in poi ho assolutamente smesso di guardare le statistiche, tanto meno quelle del tiro (se non dei liberi che loro sì sono un indice vero – se poi volete sapere quali sono ancora le statistiche per me parzialmente significative, sono i rimbalzi in attacco e le palle perse).
Sulla carriera spagnola di Đedović: sia Lorbek a Malaga che Dragić col Tau hanno avuto un primo anno in Spagna catastrofico, salvo poi, come sappiamo, esplodere tutti e due una volta ritornati il primo in Italia (Benetton, Roma), il secondo all'Olimpija. Il che per me vuol dire che in Spagna per un talento giovane straniero (normale, loro ne hanno tanti di propri) emergere è estremamente difficile, per cui il dato secondo me non fa testo.
Intermezzo: sono perfettamente d'accordo che Iguodala non c'entrava la classica mazza con la partita di Kleiza che se l'è fatta sotto in modo dissenterico. Non è certo merito di Iguodala se Kleiza ha spadellato una marea di tiri in perfetta solitudine. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Errori e non errori
- Scritto da Sergio Tavčar
In velocità una specie di post-post, nel senso di integrazione di quello precedente a mo' anche di commento a me stesso. Dice bene Edoardo: parlando di giocatori italiani la discussione è stata molto meno agitata e feroce rispetto a quella che ha coinvolto quelli jugoslavi, cioè esattamente il contrario di quanto mi sarei aspettato. Pochi, almeno dal mio punto di vista, i commenti, ma comunque molto buoni, ad alcuni dei quali vorrei qui ribattere.
Innanzitutto un mea culpa clamoroso. Inutile, pensavo di averli presi in considerazione tutti ed invece alcuni pesci grossi mi sono clamorosamente scappati dal barile. Non entrerebbero nei miei 12, ma comunque nei 20 di sicuro, e parlo ovviamente di Nando Gentile e Pino Brumatti (e dire che dovrei conoscerli – uno ha giocato per anni a Trieste, l'altro è goriziano ed addirittura amico mio!), per cui chi si è scandalizzato perchè li ho lasciati fuori ha perfettamente ragione. Un altro che andava messo nelle honorable mentions è indubbiamente Meo Sacchetti. Ed un altro di cui avrei dovuto parlare, perchè avrebbe potuto essere il più grande e per ragioni strane non lo è stato, è Claudio Malagoli. Fin qua tutti quelli che mi avete criticato, ripeto, avete perfettamente ragione e, se volete continuare a sparare a zero, sappiate che uccidete un uomo morto.
E poi arriviamo su un terreno minato nel quale ci si addentra nel campo dell'ideologia, o peggio ancora, della fede, per cui ragionare sembra impossibile, andando contro convinzioni di principio. No, non mi sono dimenticato di Ricky Pittis, come non mi sono dimenticato di Aldo Ossola. Di quest'ultimo ho parlato in un mio vecchio post e chi ha voglia di rileggerlo potrà capire tutta la mia sconfinata ammirazione nei suoi confronti. Pittis è stato uno dei giocatori più intelligenti del basket italiano, però ha avuto due periodi: quello milanese, dove era pompato come il Kukoč italiano e, diciamocelo francamente, faceva il fighetto segnando i canestri che il divino Mike gli confezionava, e poi quello trevigiano, quando è diventato uno straordinario uomo squadra che però ai miei occhi allevati al basket jugoslavo aveva il peccato originale e non prescindibile in assoluto, non aveva tiro. E, come lo sapete se avete letto il libro, io ragiono alla jugoslava: no tiro, no basket. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Pallacanestro all'italiana
- Scritto da Sergio Tavčar
Ed ora (rullo di tamburi) come promesso ecco a voi, siore e siori, la top list dei migliori giocatori italiani di sempre. Pardon, non ancora. Nel senso che prima bisogna piantare alcuni paletti ben fissi per inquadrare la situazione e sapere di cosa si parla. Mi sembra solo ovvio che per parlare dei migliori giocatori bisogna vedere in quali squadre hanno giocato e cosa queste squadre hanno vinto. Un giocatore di una squadra che non vince non può essere un giocatore da top ten, perchè se no, non so se mi spiego, la sua squadra (dando per scontato che comunque i suoi compagni erano giocatori medio-buoni comunque e non tutti pippe) avrebbe pur vinto qualcosa. Per cui sgombriamo subito il campo e tagliamo immediatamente i giocatori del periodo post finale olimpica di Atene, perchè in effetti non hanno vinto niente, anzi, hanno normalmente perso. Per cui parlare di giocatori di una squadra che nelle qualificazioni europee non riesce a spezzare le reni neanche a Montenegro ed Israele mi sembra grottesco. Con buona pace degli estimatori di Belinelli, Bargnani e Gallinari, loro proprio non li calcolo. Certo, per esempio Gallinari merita un lungo discorso a parte che sarà senz'altro fatto, però per ora, visto che devono ancora dimostrare non qualcosa, ma tutto, non c'entrano nella vignetta.
Ed allora, sempre ragionando in questo modo, bisogna prendere in considerazione le squadre che hanno vinto. Che sono senz'altro le due squadre campioni d'Europa nell'83 e nel '99 e la squadra vicecampionessa olimpica di Atene 2004. Da qui non si scampa. O forse no. Perchè a me, passatista inveterato e recidivo, viene subito in mente ad esempio la squadra che, venendo dal nulla, fu quarta alle Olimpiadi di Roma, ribadendo un ottimo risultato anche quattro anni dopo a Tokio. E ricordare giocatori quali in primissimis Dado Lombardi, Sandro Riminucci, Gianfranco Pieri, e poi ancora Zorzi, Cescutti, Gavagnin, Maggetti, il grandissimo Nane Vianello mi sembra doveroso. Però purtroppo per loro vale il discorso fatto nel precedente post per i grandissimi jugoslavi della prima era. Si giocava un altro basket e dunque, ferma restando tutta la mia sconfinata ammirazione per loro, devo per forza soprassedere. Lo faccio con la morte nel cuore perchè a me sta particolarmente caro il periodo pre anni settanta, in sintesi l'era di coach Nello Paratore prima dell'avvento del basket organizzato filocollege di Giancarlo Primo che poi con Sandro Gamba ha caratterizzato tutto il lunghissimo periodo successivo. Chi mi legge con continuità avrà anche capito il perchè: perchè l'Italia all'epoca giocava all'italiana, creativo casino disorganizzato della serie vediamo se riusciamo ad inventare qualcosa, giocava cioè come è connaturato all'indole degli italiani e sono convinto che se solo quest'attitudine fosse stata coltivata nel tempo semplicemente moderandone gli eccessi casinisti e dando un'organizzazione di gioco discreta, ma non invasiva né castrante delle innate doti geniali delle genti italiane, il basket italiano non so se avrebbe ottenuto di più, ma quanto ci saremmo divertiti ad andarlo a vedere. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").
I magnifici sette
- Scritto da Sergio Tavčar
Prendo spunto dalla posta di un fedele lettore per cominciare una serie di post dedicati al giochino che sembra tanto attrarre gli appassionati, cioè quello di fare delle top list di ogni possibile cosa, in questo caso di giocatori della storia del basket. Metto subito le mani avanti: questo tipo di giochini mi riesce sempre molto antipatico perchè esclude quello che secondo me, al di là della valutazione soggettiva che è di per sè fallace, è l'elemento fondamentale di ogni classifica, che è il contesto sia sociale che soprattutto temporale. Però in effetti è un giochino a cui è difficile sottrarsi, per cui ci si può anche provare, se non altro per stimolare una riflessione ed anche per alimentare le classiche dispute inutili e stupide da Bar sport che girano attorno a se stesse come una vite senza fine nella quale ognuno ha contemporaneamente sia ragione che torto.
Comincio con l'argomento a me più familiare e cioè la classifica all time dei giocatori jugoslavi, se non altro per scaldare un po' i motori in vista del pezzo forte, quello che sono sicuro scatenerà tutte le reazioni possibili di ogni tipo e genere, dal cinico all'appassionato, dal tecnico all'emotivo, della classifica all time dei giocatori italiani.
L'inizio è facile. Basta andare su questo stesso sito all'intervista rilasciata tre anni fa a Porto San Giorgio al collega Luca Maggitti per sapere su come la penso sui primi tre. Che sono stati: il più bel giocatore che io mai abbia visto in Jugoslavia, quello che sarei andato a vedere sempre, a prescindere, e cioè Mirza Delibašić, il più grande di tutti, quello che ha cambiato il modo di intendere il basket in Jugoslavia, Krešimir Ćosić, ed ovviamente il giocatore che più ha scatenato la fantasia di tantissimi appassionati prima in Europa e poi anche in America, il Mozart dei canestri Dražen Petrović. Almeno per me questi tre sono cementati sul podio e nessuno me li potrà togliere.
Poi c'è il gruppo dei "secundi inter pares" che sono più o meno mezzo scalino sotto i primi tre. Il primo di questi secondi (scusate) è quello che secondo me avrebbe potuto essere il più grande di tutti, ma che per mia somma delusione non lo è stato, parlo di Toni Kukoč. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
L'infranto sogno americano
- Scritto da Sergio Tavcar
E' cominciata la fase precampionato – a dire il vero sono gia' cominciati i campionati minori, cosa che a me, ma certamente non a voi, interessa infinitamente di piu', visto il mio coinvolgimento nelle vicende della Falconstar di B-2 e dello Jadran in C-1 – che come gia' da qualche anno a questa parte vede le squadre dell'NBA in Tour turistico promozionale in Europa con la gente che si svena per andare a vedere insulse esibizioni che col vero basket proprio nulla hanno a che fare. Pero' non saro' certo io, di professione giornalista, a minimizzare l' impatto, appunto, promozionale, che comunque serve sempre, anzi e' piu' che ben accetto. Quando parla pero' il coach che mi sento ancora di essere, allora chiaramente la situazione e' da voltastomaco puro.
La qual cosa mi porta inevitabilmente a ripensare alla mia attitudine attuale nei confronti del basket americano e di fare un ampio esame di coscienza per tentare di capire le ragioni, e quanto possano essere tanto comprensibili che giustificate, del mio totale rigetto nei confronti di tutto quanto sa di NBA. Alla fine, gira e rigira, arrivo all'inevitabile conclusione che si tratta della classica reazione dell'amante tradito. Per uno come me che, come dicono poeticamente in Slovenia, ha gia' appeso sei croci all'albero della vita, quando ho iniziato ad amare il basket gli Stati Uniti erano il Paradiso irraggiungibile, il posto dove abitavano i marziani, dove il mio sport raggiungeva vette di quasi platonica perfezione. Ed in effetti era cosi': non dimentichero' mai, quando ancora giocavo, le due partite che giocammo contro l'equipaggio della portaerei Forrestal ormeggiata nel porto di Trieste. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
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