Onestamente non so di cosa scrivere. Succede. Ma devo farlo perché se no qualcuno potrebbe pensare che mi sia dimenticato di contribuire i miei pensieri ad un blog che stimola discussioni, che insomma raccoglie tante persone perlopiù benpensanti per i quali il basket rimane passione e tutto sommato amore.

Non so di cosa scrivere perché leggendo i vostri commenti vedo che continuate a pestare il tasto sull'NBA della quale, devo dire, in questi ultimi tempi non se esattamente niente, per cui proprio non posso seguire quanto andate dicendo. Ritornando a quanto detto nel post precedente un giorno mi ero violentato per aggiornarmi su quanto succede nel campionato più bello del mondo. Detto di sfuggita mi ha fatto molto sorridere per la sua incongruità il commento di un intrufolato adoratore senza se e senza ma del campionato più bello del mondo (ripeto apposta – non criticatemi, è una specie di figura retorica per sottolineare il sarcasmo) che mi rimprovera che, se una cosa non mi piace, basta non guardarla. Senza notare l'illogicità della frase, nel senso che, per giudicare che una cosa non piace, bisogna prima conoscerla e dunque vederla almeno un paio di volte. E, credetemi, nella mia lunga vita, di NBA ne ho vista in totale più di voi giovani che la seguite avidamente, nel senso che in tanti anni le mie ore di visione dell'NBA, prima che le raggiungiate, dovrete lasciar passare ancora molto tempo. Insomma, mi sono sforzato di vedere una partita fra i Clippers e San Antonio (grazie per il richiamo sulla spiegazione che Chaps sta per Chaparrals) ed ho visto nel finale di una partita punto a punto i Clippers prendere un vantaggio apparentemente decisivo, salvo poi, nel marasma totale della squadra avversaria, per inciso non credevo che Tim Duncan fosse "tanto" ormai un ex-giocatore ricordando le lezioni di basket che dava a cavallo del secolo, vero ultimo dei mohicani, mancare in serie l'occasione di dare la mazzata decisiva, perché il loro idolatrato playmaker, uno che non si sa bene quale sia il nome e quale il cognome e che viene soprannominato con una sigla sinistra che ricorda i robot di guerre stellari (coincidenza? purtroppo non credo), continuava ad intestardirsi in stucchevoli e snervanti uno contro cinque con i commentatori che andavano in solluchero quando dopo enne tentativi miseramente falliti riusciva finalmente con un triplo e mezzo carpiato indietro con tre avvitamenti e mezzo, coefficiente di difficoltà non contemplato dalle tabelle internazionali, a segnare per miracolo. Ed anche perché il più grande saltatore in alto della storia e probabilmente in potenza il decathleta più forte mai apparso sulla faccia della terra mostrava tutta la corda tirando in modo orribile i tiri liberi, che neanche Nosov ai bei tempi. Alla fine comunque San Antonio aveva a meno tre l'ultimo attacco a pochi secondi dalla fine, per il quale chiamava il canonico timeout. Rimessa: palla al tiratore designato che perde la maniglia e si lascia sfuggire la palla in modo ridicolo. Rimessa per i Clippers quando mancano sì e no quattro-cinque secondi, se non meno. Vinta? No. Il famoso robot da guerre stellari combina una frittata incredibile e per rimediare la spiaccica anche contro la parete nel senso che passa la palla in mano nientemeno che al tiratore designato degli avversari di cui sopra che stavolta non rifiuta un simile regalo ed imbuca la tripla del supplementare nel quale poi ovviamente i Chaps vincono. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").

L' amico Ferrari da Cremona mi ha mandato una mail con un richiamo all'articolo di Aldo Oberto apparso su Basketdaily in cui parla del pick and roll. Con uno stile più asciutto, didascalico e sicuramente più comprensibile dice esattamente quanto ho detto io la settimana scorsa. Ovviamente, visto che la pensiamo esattamente allo stesso modo, non potrei essere più d'accordo. E dunque, se non credete a me (visto che ero un coach di giovanili e categorie infime), credete almeno a lui. E su questo argomento penso basti.

Piccola chiosa, comunque: sono violentemente in disaccordo e sono pronto a morire per la causa con coloro che sottovalutano, o addirittura trascurano, la correttezza tecnica dell'esecuzione di questo fondamentale di squadra che, come tutti i fondamentali, meglio è fatto, meglio riesce. Dunque un pick'n'roll fatto alla carlona non serve. E, ripeto, il timing di tutta la sequenza deve essere assolutamente impeccabile. Su questo non accetto discussioni e sono pronto al duello all'arma bianca, o quella che sceglie il nemico. E nessuno ha detto che il bloccante deve sempre tagliare a canestro. Deve però obbligatoriamente essere la prima opzione, la quale viene omessa se la difesa si adegua in anticipo. Sono due cose totalmente diverse. E un'altra cosa che si vede sempre meno, praticamente mai: quando, dopo la consueta patetica escursione a metà campo del lungo in funzione spaventativa di aiuto (movimento che non capirò mai: il mezzo passo per togliere il tempo è ovvio, come insegnava Bobby Knight, ma l'escursione ben sopra la linea della palla mi sembra semplicemente idiota), il bloccante, rimasto solo, ha la geniale idea di tagliare a canestro senza rimanere fermo lì e arriva l'aiuto in rotazione di un terzo difensore, non vedo mai scarichi brevi all'uomo lasciato solo dall'aiutante, ma solo scarichi in angolo per un tiro da tre. Ma due punti con un facile tiro dalla media, magari di tabella, fanno veramente tanto schifo? (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Vorrei per prima cosa chiarire un malinteso che mi sembra sia maturato in chi mi legge: non ho assolutamente nulla in contrario nei confronti del pick and roll. Sta scrivendo uno che all'età di 20 anni, quando andò (da giocatore!) con la sua squadra in collegiale a Rovigno, si fece una settimana esclusiva di solo pick and roll agli ordini del coach della femminile dell'Olimpija di Lubiana (buonissima Serie A jugoslava, ai tempi). Fra l'altro vedi caso il suddetto coach era il compagno di vita della mia seconda miglior amica dell'infanzia e compagna di classe alle elementari che poi, trasferitasi a Lubiana, si diede al basket arrivando addirittura a giocare una partita in nazionale. Si vede che il basket era nel mio destino. Ci facemmo un mazzo enorme, in quanto l'uomo, pignolo fino all'inverosimile, stava ore e ore a correggere la posizione dei piedi del bloccante (blocchi dorsali obbligatori! - quelli che se li fai oggigiorno pensano che sei sbarcato da Marte) e a insistere sul timing giusto, che doveva essere preciso al decimo di secondo, del passaggio del portatore di palla sul blocco, ma soprattutto del momento in cui il bloccante doveva completare il giro col tagliafuori sul difensore e scattare a canestro.  (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto") 

"Nel caso di un artista la predisposizione, il famoso talento, cos'altro è se non una particolare configurazione dei neuroni che fa sì che il suo cervello abbia un'inclinazione maggiore rispetto al resto dell'umanità verso una specifica attività? Ed il cervello dove sta? In pancia? Ed è sempre il cervello che fa sì che questa predisposizione possa o meno venir sviluppata nella sua pienezza e che uno diventi un campione nel suo campo. Nello sport vale lo stesso con la differenza che qui il lato voglia, abnegazione, caparbietà, capacità di imparare dai propri errori, umiltà di sapere che non si finisce mai di imparare, insomma tutte queste doti caratteriali che sono lo spartiacque fra il mediocre ed il campione, sono ancora più importanti perché il gesto tecnico lo si può imparare con un'infinità di ripetizioni (che però devono essere fatte!), per cui avere il gesto tecnico già nel sangue è sì di aiuto, ma non certamente fondamentale."

La citazione che avete letto è semplicemente un copia ed incolla del mio precedente post. E quando si continuerà a dire che la testa non è tutto per quanto si riferisce al talento continuerò a proporlo come un mantra fino allo sfinimento o mio o vostro. Pensavo di essere stato chiaro, ma evidentemente non è stato così. Per cui quando continuo a leggere che sì, la testa è importante, ma che bisogna comunque avere predisposizione, "talento" secondo un termine abusato, onnicomprensivo e molto vago, ma ci tornerò su fra pochissimo, non posso che ribadire che la coordinazione, e nello specifico la predisposizione a fare anche spontaneamente movimenti che per altre persone meno dotate richiedono anni di duro studio, è per definizione una cosa che deriva direttamente da come sono strutturati i nostri neuroni, che risiedono nel cervello, il quale cervello sta nella testa. Appunto. Come volevasi dimostrare.

Come continuo a ritenere, e, ormai mi conoscete, non c'è persona al mondo che possa convincermi del contrario, in quanto trattasi di convinzione tauceriana, che la seconda parte della citazione di cui sopra sia ancora, e di molto, più importante rispetto alla prima. Una predisposizione che non viene sviluppata dal lato cosciente del nostro cervello è una cosa sterile che non produrrà mai nulla, come, lasciatemi un po' di poesia, un seme di sequoia, se lasciato seccare, rimarrà per sempre simile, tanto da essere quasi indistinguibile, a un seme di ortica, vanificando tutto il potenziale spaventoso che aveva all'inizio di diventare una delle piante più maestose che ci siano. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto") 

Uno dei grandi vantaggi che si hanno a lavorare a TV Capodistria, per come è strutturato il nostro lavoro, è che si deve comunque avere un'infarinatura di qualsiasi sport ci sia al mondo. Vista l'esiguità del nostro numero è prassi da sempre che a redigere le notizie giornaliere del TG sportivo sia una sola persona, che viene lasciata sempre sola ed abbandonata, per cui o conosce un po' di tutti gli sport oppure è semplicemente fregato. Personalmente ho fatto anche tantissime telecronache di vari sport, cosa che diventa ancora più acuta quando si devono seguire manifestazioni sportive tipo Olimpiadi, dove 5 giornalisti devono seguire 25 sport diversi e dunque bisogna fare di necessità virtù e acquisire una qualche conoscenza dello sport che dovrai seguire. Ciò ovviamente porta al fatto che, dovendo seguire più o meno tutto quello che succede a livello agonistico, uno entra in contatto con tutti gli sport col risultato che certi cominciano a piacergli, per cui continua a seguirli ed a informarsi, e certi altri proprio non gli vanno giù e non li segue più. Personalmente sono tanti gli sport che non mi attirano, per cui, se a qualcuno interessa, dirò che quelli che mi piacciono, oltre ai miei "istituzionali" basket, nuoto e tennis, sono, oltre al golf di cui ho già parlato, degli sport di squadra soprattutto l'hockey (su ghiaccio, ovviamente, gli altri, non me ne vogliano gli appassionati, mi sembrano tutti dei surrogati, compreso quello sport antico e nobilissimo che è l'hockey su prato) e il football americano, degli sport individuali invece tutti quelli che presuppongono straordinarie doti mentali, sia di creatività che di capacità di soffrire e di dare sempre il meglio di se stessi andando a volte anche oltre ai propri limiti, più precisamente del primo gruppo tutti gli sport della racchetta (tennis tavolo, badminton) e quelli prettamente mentali (dagli scacchi allo snooker) e del secondo, oltre ovviamente alla regina degli sport, l'atletica, lo sci, sia alpino che di fondo assieme al biathlon, ed il canottaggio in primis. Ci sarebbe anche la ginnastica artistica, ma ai miei occhi ha regolamenti troppo astrusi, per cui non riesco a capire quanto e perché uno sia forte e la cosa mi dà tantissimo fastidio, ed io sono fatto in modo tale che, quando una cosa non riesco a capirla, non mi interessa più. (Per continuare a leggere clicca sotto su leggi tutto)

Ieri (domenica 15) era una giornata perfetta per lo sportivo da salotto e devo dire che l'ho sfruttata in pieno. Il tour de force degno di miglior causa è cominciato già alle 9 del mattino con le repliche delle semifinali di Conference di football, di cui non sapevo i risultati, per cui ho visto praticamente in diretta l'incredibile finale di San Francisco-New Orleans. In attesa di vedere New England contro Denver ho guardato la prima manche dello slalom di Wengen, poi ho girato sul football, ho visto che il quarterback "divino", per mio sommo godimento, stava subendo una solenne spazzolata da un quarterback vero, per cui ho guardato Kranjec vincere i salti sprint a Kulm, e poi ho guardato il SuperG di Cortina ridendo come un pazzo. Io non ho mai messo gli sci ai piedi, per cui di sci ne capisco come può capire uno che si picca di capire un tantino di gesti sportivi, ma di sci piatti, di prese di lamine, di traiettorie ottimali, di peso sull'interno, di curve in due tempi, insomma di tutte queste cose tecniche non capisco un accidente. Però, avendo anche fatto in tempi grami il supplente alle medie per due anni, mi intendo un po' di fisica, per cui per pura e semplice legge Newtoniana mi sembra di poter affermare che nello sci vince chi sfrutta meglio la forza di gravità, cioè percorre il tratto da A a B nel tempo più veloce lasciandosi praticamente cadere nel vuoto. Cosa che Lindsey Vonn sembra fare in modo sublime. E mentre scendeva ascoltavo i commenti degli esperti: "Ahi, è andata fuori linea!" e, tac, al primo intermedio era sotto di mezzo secondo, "ahi, si è sbilanciata e deve recuperare" e tac, al secondo intermedio il vantaggio era di un secondo intero, e così via. E mi sono detto che forse neanche i tecnici veri devono capirci tantissimo, rimarcando fra me e me che probabilmente anche nello sci, come in praticamente tutti gli altri sport, i campioni vedono e capiscono per istinto cose che i normali non vedono, per cui fanno cose che tecnicamente non dovrebbero stare nè in cielo nè in terra però, chissà come, quello che fanno loro è vincente, mentre se lo fa qualunque altro non fa altro che rendersi ridicolo. E senza aver studiato Newton evidentemente la Vonn sa molto meglio di tutti come si fa ad arrivare prima dal famoso punto A al punto B. Cosa che del resto fa anche Kostelić nello slalom che vince pur sembrando lento e compassato (echi delle discussioni sui finti lenti del basket?). Il divertimento è stato anche maggiore quando poi c'è stato il semi-streaking della Maze ("it's not your business" - copyright by Andrea?) in merito alla ridicola questione delle mutande impermeabili all'aria. E qui non posso non dar ragione al team della Maze ed alla ditta italiana che le ha prodotte che neanche tanto velatamente insinuano che gli svizzeri abbiano fatto reclamo per una pura e semplice ragione di spionaggio industriale. Mandano le mutande alle analisi ed ovviamente scoprono come sono state fatte per poterle copiare. Il che mi sembra più che plausibile. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Inutile: la lingua batte dove il dente duole. Io mi sforzo con tutti i mezzi di indirizzare la discussione verso i temi che piu' mi appassionano, leggi il tentativo di sviscerare i segreti più intimi del basket, del cosa fa di un giocatore un "vero" giocatore, quali sono le cose che bisogna curare, cosa bisogna fare per far progredire questo nostro amato sport, e dunque mi interessa tutta la problematica legata al basket giovanile ed ai processi di apprendimento e di converso quali sono le cose che bisogna evitare di fare, cioè mi sforzo titanicamente di parlare delle cose veramente importanti che poi, alla fine, tutti i commenti convergono sulle ultime dall'NBA. Che, come avrete capito, nella mia concezione attualmente sta al basket come il wrestling sta alla lotta libera olimpica. Cioè non c'entra un emeritissimo tubo. Per cui non potrebbe interessarmi di meno.

Avete fatto bene a riproporre il link verso un mio pezzo di tempo fa in cui spiegavo le ragioni anche profonde per cui attualmente mi sento tradito da quanto succede in America. Su quanto detto allora non ho proprio nulla da aggiungere. Rimarco solo il punto nodale della cosa. Mi fa immensa rabbia pensare a cosa potrebbero essere i giocatori di oggigiorno e cosa invece sono perchè non giocano più a basket. Poi certi, come Durant, quando affrontano gente che gioca a basket si dimostrano veramente forti, altri invece mostrano tutta la corda. Ecco, io vorrei vedere gli americani giocare a basket anche per capire veramente chi è forte e chi no. Alla mia veneranda età garantisco che, con un po' di allenamento, se fossi solo segnerei circa il 50% delle triple. Dunque potrei giocare nell'NBA, perchè lì la gente è sempre sola. Però qui da noi non potrei giocare in Promozione, ovviamente. La rabbia è tanto maggiore perchè guardando le partite di college (quelle sì che le guardo con interesse) vedo ragazzi bravissimi che, se solo fossero indirizzati nel modo giusto, sarebbero giocatori straordinari, per esempio Cody Zeller di Indiana non avrebbe nulla da invidiare ai nostri idoli Steve Hawes o Chuck Jura o Bob Morse, anzi forse potrebbe essere anche meglio, però poi tutta questa gente normalmente si perde entrando nel tritacarne NBA che appiattisce, o per meglio dire, cancella tutte le doti di giocatore vero che uno possedeva in potenza. Rubio fenomeno? Ma fatemi un piacere! (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")