Ritardo clamoroso dell'estensione delle note quotidiane dovute a causa di forza maggiore. Proprio di fronte a casa mia hanno lavorato tutta la mattina per riparare una linea aerea, per cui sono stato fino a pranzo senza corrente (avevano messo l'avviso ieri sera, ma di grazia, come fa uno a mettere da parte un po' di corrente?).

Allora oggi solo in breve, spero mi scuserete. Usain è un marziano ed i marziani non possono perdere. Punto. Per cui a Blake sorrideva anche l'orifizio più recondito per essere stato il primo dei mortali, ed infatti ai microfoni di Claudia Angiolini e Fiona May (ma perché sono in due, una sa forse leggere e l'altra scrivere?) non faceva che ridere. Claudia mi scuserà per la battuta, lei è infatti amica mia ed è stata la prima della Redazione Sky a comprare il mio libro.

Federer era svuotato e forse neanche tanto convinto, e come sempre quando questo gli succede gioca a sprazzi. Lui ha da tempo perso il killer instinct e gioca con l'atteggiamento dell'artista: se gli pare di giocare male comincia a farsi schifo a se stesso e si smonta. Dall'altra parte Murray sembrava tarantolato e soprattutto incredibilmente concentrato. Nei momenti chiave non ha sbagliato un colpo, ha avuto due nastri clamorosi a favore nei momenti chiave, Federer ha tirato lunga di un millimetro una vincente sulla palla break, ma soprattutto lo scozzese ha risposto come neanche Agassi ai bei tempi. E, aggiungo, l'atmosfera di tifo da stadio, che ricordava quella fra australiani e croati nell'indimenticabile finale del lunedì fra Ivanišević e Rafter, con bandiere e cori mi è piaciuta tantissimo. Ha dato la stessa impressione di spazzare via per un momento la patina stantia della tradizione, in questo caso di Wimbledon, come lo sketch della regina paracadutista nei confronti della monarchia.

Archiviata la routine della medaglia di Kozmus nel martello, tanto per cambiare ancora una volta con la miglior misura stagionale (parlavamo di vincenti), che ha così chiuso il cerchio delle medaglie slovene, tutte portate da veterani (e le giovani leve?), sono curiosissimo di vedere stasera Brasile-Spagna. Come faranno a mascherare il desiderio di perdere? Parlavo proprio l'altro giorno delle situazioni assurde, da alternativa del diavolo, che offrono i gironi all'italiana al momento dell'ultimo match prima della definizione della griglia dell'eliminazione diretta. Esempio più eclatante non ci potrebbe essere. Anche se, a occhio, è più la Spagna che non vuole vincere, in quanto punta in alto, mentre per il Brasile, che secondo me con meno presunzione ha anche minori ambizioni, sarebbe importante evitare il quarto contro la Francia. Per cui penso che comunque i brasiliani la partita la giocheranno, mentre gli spagnoli faranno finta di aver avuto sfiga.

A proposito di sfiga: io parlo di giornalisti presuntuosi e tuttologi che pensano di sapere anche di sport e, tac, arriva un commentatore e mi spiattella la controbattuta dell'unica eccezione del panorama che conferma la regola, e cioè Vittorio Zucconi. Che, oltre ad essere sommo giornalista, è anche uno che da ogni parola che scrive si vede che lo sport lo ama per quello che è e non per quello che rappresenta, il che è la fondamentale discriminante che secondo me dovrebbe dividere chi potrebbe e chi non dovrebbe mai parlare di sport. Fra gli ultimi ci sono purtroppo anche tantissimi giornalisti che si occupano di sport in attesa di fare il grande salto verso le cose “serie” (?), per esempio quelli così ben tratteggiati nello stesso intervento che dell'evento parlano solo ed esclusivamente dal punto di vista soggettivo dimenticando che l'avversario è in campo esattamente con lo stesso scopo che hai tu. E che non hanno sempre accanto uno Zucconi che possa fulminarli come si meritano.

Un bilancio sulle gare di nuoto finite ieri? Non credo che al largo pubblico (mi allargo...) interessino dati statistici sul numero di medaglie, record mondiali abbattuti, eccetera. Fra l'altro questi dati si possono reperire su qualsiasi sito che parli di Olimpiadi. Faccio dunque un paio di considerazioni generali che possono servire anche da punto di partenza per capire quale sia lo stato di salute del nuoto attuale. Intanto: livello stellare. La cosa più sconvolgente è che solo tre anni fa a Roma, in piena orgia di paperette gonfiabili che tenevano a galla anche barili quali Bernard trasformando il nuoto da sport raffinato di tecnica, acquaticità e doti idrodinamiche in esibizione di forza bruta che prendeva a schiaffi l'elemento più prezioso che ci sia sul pianeta, vennero stabiliti primati che sembravano battibili solamente dopo un numero enorme di anni. Ed invece a Londra tutti i tempi delle varie gare erano immediatamente paragonabili a quelli di Roma, tanto che a volte ci si dimenticava dell'enorme differenza fra le basi di partenza per le prestazioni nei due casi. Il ritorno al costume normale, tecnologico quanto basta che però mette tutti più o meno su uno stesso piano, ha inoltre avuto un'altra virtuosa conseguenza, e che cioè ritornano ad emergere (in tutti i sensi, visto che parliamo di acqua) i veri talenti per il nuoto, fra i quali penso che i più fulgidi esempi vengano dai cinesi: Sun Yang e Ye Shiwen sono marziani, mentre a me piace un sacco anche come nuota la giovane sprinter Tang Yi. Sicuramente fenomena è anche la Franklin che però è un mostro soprattutto dal punto di vista fisico, tanto che penso che sarebbe fortissima qualsiasi sport facesse. La Schmitt la conosciamo da tempo: di lei penso che abbia trovato a Londra la forma della vita, un po' come la Kukors a Roma, per cui la derubricherei dalla lista dei fenomeni. Degli europei nella lista dei fenomeni (natatori, dunque di gente che sembra fatta per nuotare) va inserito di diritto Agnel. E ancora: Le Clos è un altro che sembra nato per nuotare. Eccetera, chissà quanti me ne dimentico. Quello che voglio dire è che il ritorno al costume ha riportato a galla (ancora una volta in tutti i sensi...) i talenti veri per il nuoto che sono andati come schegge e che hanno vinto. Cosa può volere di più un esteta del nuoto come il sottoscritto? Nulla, ed infatti sono estasiato.

Secondo: il livello di vertice è talmente elevato che neanche fenomeni conclamati quali Phelps e Lochte possono fare più quello che vogliono, come facevano in passato. Esemplare l'inizio stentato di Phelps che è entrato in forma solamente negli ultimi giorni e la giornata catastrofica di Lochte che dapprima voleva vincere al risparmio i 200 dorso, ed invece a salvare l'onore USA ha dovuto pensarci Clary che poi è andato a scusarsi ("guarda che volevo farti vincere, però ho dovuto sorpassarti perché se no vinceva il giapponese"), per risparmiarsi per lo show down con Phelps sui 200 misti, nei quali ha subito invece una storica batosta. La stessa Franklin ha stravinto il dorso, però in crawl è stata una delle tante.

Terzo: c'è in atto un incredibile cambio generazionale con l'esplosione di 15 fino a 17enni (anche fra i maschi, per esempio abbiate fiducia in Paltrinieri, vincente se ne è uno – anche lui emiliano come la Rossi, ne parlerò fra poco). In genere comunque tutti i giovani fortissimi sono nati fra il '90 ed il '92, per cui ce li sorbiremo (affettuoso, in realtà ce li goderemo) ancora per lunghissimo tempo. Sulle sensazionali lattanti tipo Meliutyte e Ledecky il giudizio lo riservo per gli anni successivi. Le ragazzine giovanissime traggono vantaggi enormi dalla loro galleggiabilità, per cui bisogna attenderle al varco a maturazione fisica completata (oddio, la Meliutyte mostra tutto meno che 15 anni, visto che già adesso sposterebbe un vagone con una mano, almeno a vederla fuori vasca).

Ed infine un bilancio per nazioni: USA su tutti, come sempre, anche perché non dipendono più solo dal duo Phelps-Lochte che negli scorsi mascheravano moltissimi buchi vincendo da soli valanghe di medaglie in serie. Francia stupefacente con tre ori ed un argento (più un quarto posto) nelle 5 gare della velocità maschile (50, 100, 200 e le due staffette a crawl), e dunque nel settore più storico, nobile e prestigioso del nuoto. Cina che mette in mostra i talenti natatori più limpidi, Giappone con un livello medio strabiliante, peccato che non abbia stileliberisti. Bene l'Ungheria, media la Russia che non ha avuto esplosioni (fra l'altro più o meno spariti i velocisti, da Lobincev a Izotov), ma che ha lo stesso lasciato la zampata con le medaglie della Zueva, della Jefimova e di Korotijškin, catastrofe Italia e soprattutto Germania. Non ricordo Olimpiadi con la Germania che ottiene lo stesso successo dell'Italia: zero medaglie. Ma di grazia, hanno allenatori fenomenali ai quali basta dire che non dopino i loro atleti perché per il resto il mestiere lo conoscono in modo straordinario: perché non li usano? E per finire che dire dell'Australia, un solo oro e anche quello per grazia ricevuta, leggi Olanda che ha avuto di tutte le sprinter solo l'immensa Kromowidjojo al livello che da loro si attendeva (Dekker e Heemskerk non pervenute)?

Due brevi considerazioni finali. Mi fa immenso piacere che ogni gara confermi quanto continuo a ripetere da tempo in modo incessante in questi miei post. Che cioè tutti i successi sportivi (e non solo) nascono dalla testa. Tutto il resto viene (molto) dopo. Se vale per tutti gli sport del globo, perché maledizione non dovrebbe valere anche per il basket, sport tutt'altro che acefalo? La testa è fondamentale nel sollevamento pesi, immaginarsi nel basket, dove il pensare in campo è una delle cose più importanti. Ultima dimostrazione di ciò quella incredibile macchina che è Jessica Rossi. Non credo di aver mai visto in vita mia atleta più vincente. Al limite del surreale, metafisico quasi, la risposta alla domanda: "cosa hai pensato quando hai sbagliato l'unico piattello della tua gara?" "mi è venuto da ridere". Solo chi ha in testa un paio di marce in più può rispondere in questo modo.

Sugli USA di basket infine ha detto tutto Enrico nel suo intervento al post di ieri. Non ho esattamente nulla da aggiungere.

 

Intanto, scusatemi, vorrei esordire oggi con una nota che riguarda solo noi di TV Capodistria e quei pochi che riescono ancora a vederci. E' stato un immenso piacere ieri seguire la nostra diretta di atletica leggera con la telecronaca del collega ed amico (dalla seconda media! - sono, ridendo e scherzando, 50 anni) Sandro Vidrih, rientrato per l'occasione dalla sua meritata pensione. Devo dire che mi sono un tantino commosso ricordando tutti i tempi passati con le nostre improbabili trasferte in tandem tanto tempo fa nei luoghi più impossibili dell'ex-Jugoslavia. Sono passati tantissimi anni, però concedetemelo (o almeno fate finta di farlo), rimaniamo una coppia che tutto sommato un po' di storia, per quanto marginale, l'abbiamo fatta.

Stasera finisce il nuoto, però io continuo con le mie telecronache. Domani finale di tennis e poi, la settimana prossima, basket a go-go dai quarti fino alla finale finendo con la cerimonia di chiusura. Devo confessare che ho già goduto questa settimana e sicuramente per la prossima, se possibile, dovrebbe essere ancora meglio. L' unica cosa che mi dispiace un tantino è che non abbiamo in programma partite di basket femminile, perché mai come stavolta mi sembra che il basket in gonnella abbia fatto in questo ciclo olimpico un tale salto di qualità. Si vedono partite nelle quali a volte si dimentica del tutto che a giocare sono ragazze il che, penso, sia il massimo complimento che si possa loro fare. Il livello atletico è cresciuto in modo incredibile ed inoltre le ragazze giocano in modo più disciplinato, didascalico quasi, per cui seguire le loro partite è una continua lezione anche dal punto di vista tecnico. A proposito, qualcuno di voi smanettatori frenetici della rete potrebbe trovarmi notizie sulla 20-enne Liz Cambage, australiana di evidenti origini aborigene, una che sembra Sabonis giovane per il fisico, la mobilità e la morbidezza della mano che ieri contro le russe si è concessa una tranquilla schiacciata in penetrazione centrale oltre ad aver seminato il panico nella difesa avversaria ed aver stoppato tutto lo stoppabile nel raggio di tre metri.

Serata intensa quella di ieri che ha rischiato di rendermi strabico. C'erano infatti in contemporanea le gare di atletica e nuoto, per cui, mentre preparavo la sintesi da mettere in onda in seconda serata, con l'altro occhio guardavo la meravigliosa volata della regina Tirunesh Dibaba (avete notato che aveva un altra maglia rispetto alle compagne che erano lì per farle da scudieri?). Intanto in piscina succedevano cose turche con Phelps che vinceva il suo terzo oro consecutivo nella seconda disciplina dopo i 200 misti, con il record della Franklin (si limitasse al dorso forse sarebbe meglio sia per lei che per noi), l'esplosione della Ledecky (che, annotalo Maurizio, ha due settimane in meno rispetto alla Meliutyte) ed infine il coup de theatre (francese obbligatorio) con il trionfo del piccolo Manaudou, immediatamente abbracciato dalla sorellona in lacrime. Straordinario e, dai, diciamolo, commovente.

Tutto questo dopo aver sofferto e gioito per King Roger. Volevo morire quando sul primo match point ha sotterrato una volee che ai bei tempi avrei messo in campo anch'io, ma poi i dei del tennis sono stati con lui con la bordata di Del Potro aggiustata dal nastro per il colpo dell'apoteosi. Nel doppio Llodra e Tsonga hanno vinto 18 a 16 al terzo. Murray ha battuto Đoković dopo una lotta titanica. Finale maschile replica di quella di Wimbledon di un mese fa. Finale femminile Serena-Šarapova, come a dire un altro straclassico. Per arrivare a queste finali da sogno ci sono state lotte titaniche. Ma non dicevano che i ricchi e viziati tennisti erano alle Olimpiadi per sbaglio? Che per loro vincere un Masters 1000 era più importante di un successo olimpico? E allora perché hanno lottato con una tale ferocia? Scusatemi, ma io continuo a pensare che lo spirito olimpico sia ancora ben vivo e che puoi essere ricco sfondato quanto vuoi che, se sei un atleta vero, quando indossi la maglia della tua nazione senti qualcosa che normalmente non senti, un di più che solo chi lo provato penso che possa descriverlo. A proposito sono trasecolato quando i soliti giornalisti prestati da tutti i campi allo sport (ripeto, mi dà un fastidio terribile quando di sport sono chiamati a discettare cani e porci – io non mi sognerei mai di andare a dare lezioni a giornalisti specializzati, che ne so, in economia, per cui non tollero che giornalisti di altri campi vengano a spiegarmi lo sport) hanno storto il naso per il fatto che i campi del sacro Wimbledon sono stati invasi da truppe colorate. Ma, maledizione, il trucco è proprio lì! Stavolta non gioca Roger Federer o Andy Murray, ma giocano Federer, SVIZZERA, e Murray, GRAN BRETAGNA. Ma come si fa a non capirlo? La stessa cosa era fra l'altro capitata al ciclismo con la gara in linea disputata col coltello fra i denti e la cronometro per la quale Wiggins avrebbe barattato tutte le sue vittorie (meno quella al Tour, non esageriamo) in cambio del trionfo davanti alla sua gente.

Per finire due parole sugli atleti vincenti e per confutare quanto scritto da uno di voi, secondo cui avrei asserito che tutti gli sloveni (slavi è sbagliato nonché ignorante, sarebbe come a dire latini per italiani) sarebbero perdenti. Kauzer è un perdente, non certamente la Žolnir, non certamente lo sparatore Debevec, alla sua terza medaglia olimpica a 50 anni ed alla ottava Olimpiade (!! - due le aveva fatte ancora con la maglia jugoslava), e certamente non il campione olimpico uscente del martello Primož Kozmus, il quale dopo il titolo mondiale di Berlino si era ritirato, poi ha pensato di rientrare per le Olimpiadi, ha cambiato coach, non ha combinato un tubo non riuscendo a lanciare mai oltre i 77 metri, alla fine si è stufato, ha licenziato il coach, è andato in ritiro da solo nella Repubblica ceca, ha ritrovato gli automatismi, è arrivato alle Olimpiadi e, pam, ha sparato al primo lancio di qualificazione una bordata oltre gli 80 metri ritornando poi tranquillo in albergo. Lui in tutta la carriera ha sempre fatto il primato stagionale nella massima competizione dell'anno. Un po' come faceva la Simeoni. Ecco, questi sono i vincenti.

 

 

Giornata assolutamente di routine quella di ieri. Gli americani sono ritornati a fare gli americani in vasca, anche se qui ci sono molte cose che inducono ad importanti riflessioni e lo farò in fondo, le italiane hanno spazzato via il mondo nel fioretto a squadre (ma come fanno?), gli inglesi (pardon, britannici) stanno dominando i Giochi del Commonwealth di ciclismo su pista, i cinesi sotto ogni bandiera (anche se quelli migliori se li tengono in casa) stanno terminando il loro campionato interno di tennis tavolo, sono cominciate le splendide finali di canottaggio (va be' che è stato solo bronzo, ma che dire della quarta medaglia olimpica di Iztok Čop a 40 anni dopo aver vinto la prima nel '92?), gli americani del basket hanno messo in piedi il circo di Pechino (attenzione, detto in senso elogiativo!) contro i poveri nigeriani, nel tennis i migliori stanno facendo sul serio e per le medaglie se la giocheranno fra di loro (potenza di Wimbledon), insomma assolutamente niente di nuovo sotto il sole. Per cui vorrei dire qualcosa sul famoso biscotto del badminton, vicenda che mi ha incuriosito e che non sono riuscito a capire, per cui sul caso in se stesso non riesco proprio a dare un giudizio. Nel senso che non sono riuscito a cogliere il lato fondamentale di tutta la vicenda, e cioè il "cui prodest" latino. Mi sembra di aver capito che le cinesi non volevano incontrare le connazionali nell'eliminazione diretta, ma per organizzare combine bisogna essere in due, segnatamente devono collaborare gli avversari. Ora di coppie coinvolte ce n'erano addirittura quattro con interessi incrociati che non sono riuscito a sviscerare. Mi limito dunque a fare qualche considerazione generale. I pragmatici anglosassoni odiano il "round robin" o girone all'italiana (guarda caso, non si chiama girone alla tedesca, o svedese...) proprio perché prima dell'eliminazione diretta porta inevitabilmente a calcoli del genere che sono sempre odiosi e nei quali uno non sa come comportarsi, perché si trova davanti alla classica alternativa del diavolo: qualsiasi cosa faccia, non va bene. Pensate un po' all'ultimo caso eclatante che si è verificato agli Europei Under20 di basket in Slovenia. Nel girone eliminatorio la Slovenia era matematicamente prima alla vigilia dell'ultima partita contro la Spagna. Se avesse fatto riposare i migliori (Prepelič, fra l'altro, che si è leggermente infortunato, cosa che lo ha condizionato nei quarti persi contro la Francia) ed avesse perso la partita, per il gioco della classifica avulsa sarebbe passata la Turchia. Ed invece, secondo i concetti classici di sportività, ha giocato al massimo, ha vinto ed ai quarti è passata la Lituania che poi ha vinto il campionato! Per dire come i tuoi risultati dipendano in questo caso in modo decisivo da quello che fanno gli altri (e l'Italia di calcio, attaccata alle radioline per sentire cosa facevano Croazia e Spagna?), cosa che a me da sempre fastidio. Bisogna dunque dirimere una questione fondamentale: in questo caso, quale delle due alternative del diavolo è quella meno odiosa? Secondo la mia scuola di pensiero (che però vale esattamente come quella opposta, perché qui non ci possono essere verità assolute, ma solo concezioni personali) è perfettamente lecito e moralmente accettabile che uno perda se la sconfitta gli reca un diretto vantaggio per la prosecuzione del torneo. Nel senso che uno il torneo lo vuole vincere, dunque ha un fine più che legittimo. Se in una fase qualsiasi dello stesso, segnatamente alla fine della fase a gironi e prima dell'eliminazione diretta che poi taglia la testa a tutti i tori, una sconfitta porta vantaggi reali per il prosieguo del torneo, allora non c'è assolutamente scandalo se si perde. La volta prossima facciano regolamenti migliori. Non è colpa mia se facendo riposare i migliori risparmio energie e contemporaneamente magari elimino un'avversaria pericolosa che poi magari potrebbe crearmi ben maggiori problemi di quella che con la mia sconfitta faccio passare. Concettualmente non vedo differenze dall'averla battuta in un confronto diretto: se la mia avversaria è nella condizione di dover dipendere da me per passare il turno sono cavoli suoi. Poteva giocare meglio prima. Attenzione, però: c'è una differenza abissale fra questo caso e quello che con esso viene confuso, cioè la situazione per cui una mia sconfitta è indifferente rispetto alla prosecuzione del mio torneo e le mie chance di vincere la competizione rimangono le stesse sia che io vinca o che io perda, mentre invece vincere o perdere è fondamentale per la mia avversaria. In questo caso se gioco in modo indolente e perdo adesso sì che sono in grossa colpa perché ho direttamente influenzato l'andamento del torneo danneggiando terzi che non c'entrano. Ripeto: bisogna sempre distinguere bene i due casi e decidere di fronte a quale dei due ci troviamo. Riassumendo: nel primo caso (perdo, ma aumento le possibilità di vincere la competizione) è perfettamente lecito perdere, nel secondo (per me è lo stesso, ma per il mio avversario è questione di vita o morte) allora devo assolutamente onorare la partita e giocare al massimo, proprio per rispetto nei confronti del torneo stesso e delle possibilità degli altri. La soluzione sarebbe ovviamente giocare sempre tutti i tornei ad eliminazione diretta che questi discorsi verrebbero subito a cadere. Bisogna fare però giocare tutti almeno un tot di partite? Benissimo, sono d'accordo, però allora rendiamoci conto che queste situazioni saranno sempre di routine, per cui meravigliarsi ogni volta che succedono cose del genere mi sembra francamente più che ipocrita semplicemente stupido.

Tornando alle considerazioni sul nuoto. Prendendo spunto dalla giornata catastrofica per Ryan Lochte si può già adesso dire che il nuoto ha fatto un clamoroso salto di qualità quando anche un fenomeno come Lochte non può pensare di vincere ogni volta che si presenta in piscina. Come pure Phelps ha dovuto attendere quattro giorni per fare finalmente il Phelps, dopo aver ingoiato bocconi amarissimi. Anche la Franklin dovrà limitarsi a vincere le due gare di dorso rientrando un po' nei ranghi dopo essersi presentata alle Olimpiadi da fenomena paranormale. Voglio dire che il livello generale è tanto alto che neanche i fenomeni possono più fare i comodi loro e nel futuro dovranno scegliere le gare da fare con più umiltà. Il che è buono, tanto buono.

L'immagine che secondo me resterà nella memoria della giornata di ieri è l'espressione stranita, incredula e contemporaneamente angosciosamente triste che aveva Magnussen sia a gara appena finita che poi sul podio dopo aver sciaguratamente gettato al vento l'oro nella gara eponima del nuoto, quella che da sola porta un atleta nella storia. Penso che sia bastato vedere la sua faccia per capire cosa voglia dire per un atleta di uno sport qualsiasi vincere alle Olimpiadi e quanto forte sia ancora, malgrado tutto, lo spirito olimpico, oserei dire l'ideale sportivo del citius, altius, fortius. Oggigiorno delle Olimpiadi soprattutto le ciniche menti italiche di giornalisti di politica, costume, moda e gastronomia, di tutto insomma meno che di sport che vengono mobilitati per parlare di Olimpiadi (a che titolo, di grazia?) vedono il gigantismo, l'invasione degli sponsor con conseguente gigantesco giro di affari anche sporchi, vedono insomma tutto meno quello che fa delle Olimpiadi un evento insostituibile e sempre più necessario nel nostro mondo votato al profitto, alla perdita progressiva di tutti i valori morali più nobili, e cioè la voglia di competere indipendentemente dal guadagno che ne deriva. Il desiderio insomma di essere primi per la semplice immensa soddisfazione di dire a se stessi: in questa cosa sono indiscutibilmente il più forte uomo (donna) del pianeta. Soddisfazione che nessuna montagna di soldi può mai dare. Cosa fra l'altro continuamente confermata dalla schiera di commentatori tecnici di Sky di ogni sport, tutti ex olimpionici del massimo livello.

Chi mi segue avrà già da tempo capito che quello che mi affascina dell'attività sportiva è la connessione fra testa e fisico, quanto cioè la mente influenzi ogni esito di ogni attività umana, connessione che proprio nello sport esplode nel modo più visibile e che probabilmente, se qualche scienziato con meno puzza sotto il naso volesse studiare la cosa in modo serio, potrebbe essere perfettamente indicativa di come una persona può reagire in situazioni meno simboliche, tipo in guerra. Devo correggermi: qualcuno questa cosa l'aveva già capita da tantissimo tempo e cioè proprio gli inglesi che inventarono lo sport moderno con il precipuo scopo di educare le loro elite, appunto, militari a reagire in modo adeguato nelle situazioni di stress, ma soprattutto per scegliere i quadri di comando fra coloro che nello sport mostravano di saper gestire nel modo migliore le situazioni di crisi. Guarda caso poi andarono a dominare il mondo. Come grazie allo sport sapevano scegliere i quadri direttivi tanto in economia che in politica puntando su quelli che nello sport mostravano doti superiori di comando e leadership. Tutte queste cose mi sono venute ieri alla mente nei pochi minuti che dividevano la discesa nel K1 di canoa di Daniele Molmenti da quella del dominatore della semifinale Peter Kauzer, portabandiera della spedizione slovena. I due sono amicissimi, visto che Molmenti di Cordenons per allenarsi è praticamente costretto ad essere sloveno di adozione, nel senso che è sempre con loro su quello straordinario bacino naturale che è l'alto Isonzo, palestra storica della canoa fluviale slovena. Però Molmenti è uno straordinario vincente, mentre Kauzer basta sentirlo parlare per capire in pochi secondi che è esattamente il contrario. Uno che continua a dire: “mi sento il più forte e vado alle Olimpiadi per vincere” è esattamente colui che grida nella notte per farsi coraggio. Uno che va veramente alle Olimpiadi per vincerle non lo dice mai prima, anche perché in realtà non ci pensa. Lui sa quanto è forte, sa che darà il massimo, se poi basterà per vincere lo si vedrà sul posto. Esattamente l'atteggiamento che aveva la judoka Žolnir che prima delle Olimpiadi non aveva detto nulla e poi ha vinto dominando. Kauzer 4 anni fa a Pechino dominò le qualificazioni e poi in semifinale, mentre aveva il miglior tempo, andò a sbattere contro il molo a due porte dalla fine venendo eliminato col nono (!) tempo. Insomma un perdente della più bell'acqua (bianca...). E infatti ieri, mentre in TV tutti tenevano le dita incrociate per la sua discesa, io sono stato investito da improperi di tutti i tipi avendo detto qualche secondo prima che Molmenti poteva dormire sonni tranquilli che tanto Kauzer qualche modo per incartarsi lo avrebbe sicuramente trovato. Ed infatti, dopo aver centrato in pieno la terza (!) porta, si è quasi ribaltato a metà percorso finendo in modo ignobile. Il che conferma ancora una volta che praticamente tutto deriva dal nostro cervello, che uno può essere forte fisicamente e tecnicamente quanto si vuole, ma quando manca la testa (e gli attributi, ed il cuore, le famose tre “C” di Diaz Miguel) manca tutto. C.v.d.

A proposito: scrivo di prima mattina e non ho visto ancora i giornali. Quanti avranno intolato: “Molmenti di gloria”? Spero non tanti. Tornando alle battute datemi una vostra opinione su una che mi è sfuggita ieri in telecronaca: “i cinesi, dopo i vari Zhang, Chang, Wang, Pang, quella che è arrivata terza a Pechino dopo Pellegrini e Isakovič, ora hanno anche questa Tang. Ora, per esplodere definitivamente, manca ancora la Bang”. Al momento mi è sembrata scema da vergognarmi, ma ripensandoci bene poi mi ha fatto addirittura ridere. Voi che ne pensate?

Che lo stellone si sia esaurito? Se neanche la scherma con la specialità di parata, il fioretto, porta medaglie, allora stiamo freschi. Per non parlare dello skeet, per non parlare, no, anzi ne parlo, del nuoto. Cannare una preparazione per un grande appuntamento può capitare a tutti, stavolta è capitato all'Italia e proprio per i suoi elementi più di spicco, per cui il flop fa ancora più sensazione, soprattutto in Italia, Paese dove se vinci con l'unico tiro in porta sei un eroe, se invece perdi dopo aver colpito otto pali ed aver sbagliato sei gol a porta vuota sei un pirla. Per agganciarmi a quanto ha commentato Walter, tirare fuori la scusa che abbiamo svolto i soliti carichi di lavoro, che abbiamo faticato come matti eccetera, è appunto una scusa e basta. Che per vincere titoli olimpici bisogni lavorare come schiavi alla catena di detenzione (chaingang) è purtroppo scontato, per cui sarebbe strano se qualcuno dicesse: forse abbiamo lavorato poco (!?). Il problema è come, dove, quanto e soprattutto fino a quando, insomma gli scienziati che sovrintendono agli allenamenti di vertice devono avere semplicemente sbagliato le tabelle di preparazione mettendo in piedi uno schema che evidentemente era studiato male. Tutto qua. Farne un dramma ed indagare a fondo facendo le solite machiavelliche dietrologie italiche è totalmente inutile nonché improduttivo. Lo staff tecnico del nuoto del coach di Magnini Rossetto ha dimostrato ampiamente nel passato di essere capace. L'unica cosa da decidere è se dare loro un'altra chance o cambiare manico. La risposta è con chi? Purtroppo dalla scomparsa di Castagnetti il nuoto italiano, almeno dal punto di vista delle strutture tecniche di comando, sembra abbastanza allo sbando, anche se i talenti, tipo Paltrinieri, Detti, Maestri e compagnia continuano miracolosamente a sbocciare. Il che significa che il lavoro alla base continua ad essere superbo, per cui personalmente sarei ottimista. Prima o dopo uno bravo che prenda in mano il comando delle operazioni ai massimi vertici finiranno per trovarlo. Spero.

Strano come una giornata che per una nazione, vedi l'Italia, risulta fallimentare, sia invece una giornata di gloria per un'altra. Ieri infatti, oltre al nuoto, ho guardato solo canottaggio, judo e canoa fluviale, per cui non chiedetemi niente del basket, perché non so niente. L' unica cosa che ho visto sono stati 5 minuti di USA-Tunisia una volta tornato a casa prima di addormentarmi, partita ovviamente terribilmente insignificante, per cui, ripeto, non parlatemi neanche di basket. Perché guardavo quegli sport strani? Scusatemi, ma il mio cuore batte soprattutto per la Slovenia, per la quale ieri era una giornata campale. Cominciata in modo che meglio non si poteva, col doppio di canottaggio Čop-Špik, ricomposto per forza di cosa dopo che i due, saturi di successi dopo l'oro di Sydney e l'argento di Atene, si erano, sembrava, divisi per sempre. Visto che in Slovenia purtroppo di canottieri di vertice sono rimasti solo loro due e che di nuove leve non ce n'è, li hanno rimessi insieme per un'ultima volta (Čop va per i 40 ed è quello che a 19 anni, assieme a Žvegelj, vinse un argento mondiale nel due senza a Vienna con la maglia della Jugoslavia quando la Slovenia si era già dichiarata indipendente, ma non era ancora riconosciuta, e causò un incidente diplomatico presentandosi alla premiazione assieme al compagno con la maglietta slovena invece che con quella jugoslava) sperando che facessero qualcosa. Hanno vinto la semifinale, sono rimasti fuori dalla finale tedeschi, australiani e norvegesi, gli inglesi hanno preso quasi due barche dai due, per cui, so far so good, dicono da quelle parti. Poi c'erano le semifinali e le finali del C1 di canoa fluviale. Grande il giovane Benjamin Savšek, secondo tempo in qualifica ed in semifinale, poi in finale, come spesso succede agli sloveni soprattutto alla loro prima prova della verità, invece di fare slalom ha fatto discesa fluviale pensando di essere Križaj a Kranjska Gora prendendo tutti i paletti (però correttamente, col braccio interno...) finendo ultimo. La giornata è però finita in gloria con la bravissima Urška Žolnir che ha trionfato nel judo nella categoria fino ai 63 kg e potete immaginare che tutti guardavamo solo lei. Ha disputato cinque combattimenti, 4 vinti per ippon (schienata, leggi k.o.) e la finale vinta per waza-ari, che era poi quasi un tre quarti di ippon pulito, per cui sulla sua vittoria non ci possono essere discussioni. Veramente brava: ad Atene conquistò un bronzo del tutto inatteso (era giovanissima ed era arrivata come riserva) dopo essere stata praticamente derubata dell'accesso alla finale (ma fu anche lei malaccorta) e col tempo è diventata una sempre più forte. Insomma potete forse comprendermi che la giornata di ieri è stata per me squisitamente olimpica nella versione tifo simil-patriottico, per cui spero mi scuserete se sul resto non sono affatto ferrato.

Giornata sicuramente imperniata sul nuoto, quella di ieri. Oddio, c'erano in programma tantissimi altri sport, ma onestamente, a parte la medaglia dello sparatore italiano (come diceva Brera? Per ragioni storiche è solo normale che gli italiani siano forti col "cutieddu e lupara", leggi scherma e tiro), ci sono stati pochi spunti per lo spettatore medio, fra i quali mi pongo di diritto.

Parlo dunque di nuoto. Straordinario Agnel, portabandiera del nuoto europeo alla riscossa. A vederlo sembra il fratello di Lemaitre (pensateci e ditemi se non è vero). Stessa struttura fisica, stessi lineamenti da celtico da mandare in brodo di giuggiole Borghezio che tanto vorrebbe che anche i suoi immaginari padani fossero così. (Piccola riflessione storica: basta leggere qualsiasi Bignami storico per capire subito che con le invasioni che ci sono state in Italia negli ultimi 17 secoli parlare di razze pure in una qualsiasi delle regioni italiche è ridicolo). Mentre Lacourt, che ha lo stesso talento, sembra invece il classico tombeur de femmes latino, e probabilmente anche lo è, visto che negli ultimi due anni è regredito di stagione in stagione. Sarà anche protorazzismo, ma io in queste cose un po' lombrosiane in qualche misura ci credo. Non uccidetemi per questo, per favore, oppure se già dovete farlo mirate al cuore e risparmiate la faccia. A proposito di francesi, che sono incredibilmente diventati la vera superpotenza europea (dove sono i tedeschi? E i russi?), io per stasera avrei una paura tremenda della Muffat, più che delle due americane in chiave Pellegrini che, mi sa, molto più di un posto sul podio (speriamo) non dovrebbe poter pretendere. Della Franklin (chi segue i miei blog ricorderà che ne parlavo in termini entusiastici già l'anno scorso dopo Shanghai) mi è piaciuto il grande spirito di vincente sul quale del resto c'erano ben pochi dubbi ed anche il fatto che, per quanto sia ormai una stella mediatica, e lo si vede da come si mette affettatamente in posa ai fotografi, abbia palesato una sincera commozione sul podio. Uno non può tremare tutto a comando se non prova un'emozione sincera. Dunque la ragazza sotto sotto è ancora vera.

Capitolo Meliutyte che ha l'unico difetto di essere lituana e di aver battuto le americane, perché se fosse il contrario gli americani starebbero già furiosamente scrivendo la sceneggiatura per un biopic televisivo da girare immediatamente dopo la fine delle Olimpiadi. Però non è così, per cui adesso dovremo sorbirci le solite filippiche sui bambini sfruttati eccetera. Devo subito dire che dissento sostanzialmente e quasi filosoficamente da quanto dice Maurizio. Oggigiorno anche quelli che vincono dopo i 20 anni hanno cominciato ad allenarsi spietatamente dalla più tenera età, semplicemente perché lo sport di vertice moderno è spietato e negli sport dove decidono secondi e centimetri non si può emergere se non si sottosta a regimi paranazisti dall'età della ragione in poi. Crudele e spietato, ma necessario. Per cui, caro Maurizio, arrenditi al fatto che in ogni medaglia olimpica devi vedere il prodotto di un regime di allenamento durissimo iniziato dalla più tenera età. Poi, se uno è un fenomeno anche a 10 anni, è solo giusto che possa mettersi alla prova. E dunque, sforando per un momento al basket, trovo demenziale la regola dei campionati giovanili per cui uno può giocare solo nella sua categoria o al massimo (almeno così era) solo in quella immediatamente superiore. A parte il fatto che così si castrano tante piccole società che non hanno il numero sufficiente di ragazzi per una squadra di pari età, ma che con opportuni innesti di più giovani potrebbero riuscire a crearla, la conseguenza più deleteria è che i veramente talentuosi non possono crescere affrontando gente più anziana e forte, che è l'unico modo che io conosca perché uno possa progredire. Ovviamente diverso è il discorso per gli sport dove essere piccoli è un vantaggio. Per esempio nessuno penserebbe di mettere in sella ad un cavallo un bambino di 9 anni solo perché pesa 20 chili. Esempio eclatante la ginnastica femminile, o anche i tuffi, dove essere bambine è un enorme vantaggio proprio per il fatto che prima dell'adolescenza le ragazze hanno doti motorie nettamente superiori a quelle dei maschi, doti che poi si perdono quando le ragazze (per fortuna!) diventano donne. Per cui è solo giusto che in questi sport ci siano limiti d'età (che si applicano comunque solo alle ragazze – per esempio il tuffatore inglese Daley era un fenomeno già a 12 anni e nessuno aveva mai messo in dubbio il suo diritto di gareggiare con i grandi), anche se poi vengono aggirati con passaporti falsi, ma soprattutto con regimi alimentari (e altro) che mantengono in modo odioso le ragazze a livello di bonsai. Ragione per la quale il sottoscritto è da tempo immemorabile che non guarda una competizione di ginnastica femminile.

Per finire: trovo che gli americani si stanno comportando da m*rde (posso dirlo?) patentate quando polemizzano sul doping della Ye. Nello stesso modo, perché la Franklin è fortissima ed a 17 anni è una ragazzona robusta, i cinesi potrebbero accusarla di essersi aiutata in modo illecito. A me, devo dire, quando gli americani si comportano in modo tanto presuntuoso ed arrogante secondo la teoria che solo loro possono produrre fenomeni, mentre il resto dell'umanità per principio è inferiore, mentalità dunque imperiale (che io, sloveno di Trieste, con memoria storica dell'occupazione italiana di un quarto della Slovenia fra le due guerre con imposizione forzata della "civiltà romana" ai danni degli "schiavi barbari", sento particolarmente a livello quasi genetico), in quel momento i genitali cominciano a girare a velocità tipo particelle subatomiche del CERN. Dovrebbero capire semplicemente che la Ye è un fenomeno e che se è dopata lo è esattamente come tutti gli altri, americani compresi. Come ben si sa Conte, la Balco, Marion Jones erano cinesi.